lunedì 12 dicembre 2011

Gli onorevoli non si tagliano la paga

I deputati bloccano la norma del governo che riduce le loro indennità: "La decisione spetta a noi". Fini: "I nostri compensi sono di competenza esclusiva della Camera. Decreto scritto male"

Bisogna fare in fretta, ripetono i tecnici e i politici, il governo e il parlamento, il presidente della Repubblica e il presidente del consiglio. La nave sta affondando, le nuove misure e i sacrifici salveranno l’Italia a patto di accelerare. Si deve andare di corsa, il tempo stringe, le borse crollano, lo spread s’innalza, la morsa della crisi ci distruggerà tutti, la catastrofe finanziaria ci trascinerà nel gorgo della povertà. E invece praticamente tutto il parlamento sta lavorando a un emendamento di frenata, a una norma per rallentare, aspettare, riflettere. La norma su cui si sta esercitando un simile lavorio di più forze politiche per dilazionare i tempi è nientemeno che il taglio degli stipendi dei parlamentari.
Su questo sì, non c’è urgenza, festina lente , dicevano i latini. Il resto si può bruciare alla velocità della disperazione, su questo taglio invece, è necessario procedere con calma. La motivazione è cinicamente tecnica. Gianfranco Fini lo chiama «un errore » nella manovra. È infatti il presidente della Camera ad appoggiare lo sforzo parlamentare per rallentare la ghigliottina sulle indennità degli onorevoli.
Difficile però che si tratti di un errore, perché non si compone di una parola o di una piccola riga, possibile refuso, il comma 7 dell’articolo 23 della manovra del governo, dove si prevede che se l’apposita commissione Istat già nominata dall’ex ministro Tremonti non concluderà i risultati dell’adeguamento degli stipendi parlamentari ai parametri europei entro il 31 dicembre, il governo potrà procedere con «un apposito provvedimento d’urgenza». La commissione, guidata dal presidente Enrico Giovannini, deve limare le indennità dei nostri eletti alla media delle Nazioni Ue. Molto difficilmente concluderà però i suoi lavori entro la fine dell’anno. L’Istat ha infatti fatto richiesta di una serie di dati a molti Paesi tra cui Germania, Francia e Gran Bretagna. Non tutte le cifre sono arrivate, forse perché i Paesi in questione in questo momento hanno ben altro a cui pensare, Italia compresa, che non le medie matematiche comparate degli stipendi meravigliosi degli eletti. A questo punto sarebbe scontata quindi nei primi giorni di gennaio la firma del governo a un decreto lampo taglia-indennità.
Ecco perché più forze politiche si stanno adoperando per cambiare questa norma, con il sostegno appunto di Fini, allo scopo di evitare il decreto interventista di Monti e ministri: «Il punto di fondo- sottolinea Pier Paolo Baretta (Pd), relatore della manovra- è che non può essere il governo a recepire i risultati della commissione ma deve essere il Parlamento». Motivazione legittima dal punto di vista formale, ma non in tempi di vacche magrissime. Nessuno però in parlamento grida allo scandalo, aggiunge anzi Fini: «Nel decreto del governo la norma è stata scritta male, nel senso che non è possibile intervenire per decreto nell’ambito di questioni che sono di competenza esclusiva delle Camere». Il resto del Paese è vessato, ma sulla Casta decide la Casta.
Naturalmente tutti si augurano che i tempi siano brevi, che la commissione Istat relazioni presto: «La commissione terminerà i lavori nel più breve tempo possibile, mi auguro che lo faccia nelle prossime settimane», sottolinea Fini. Anche il Pdl è d’accordo, pur auspicando velocità: «Probabilmente - spiega il vicecapogruppo Massimo Corsaro - la commissione non ce la farà entro i termini stabiliti e quindi gli daremo qualche mese in più ».Corsaro tiene a precisare che l’emendamento alla manovra «non sarà un rinvio», perché nel momento in cui la commissione Giovannini consegnerà i risultati sulle medie, le Camere avranno «30 giorni di tempo» per procedere ai tagli delle indennità. E l’ex ministro Mariastella Gelmini aggiunge che «ormai anche tra i parlamentari c’è ampia condivisione sulla necessità di equiparare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli dei colleghi europei.
Non è un rinvio, questo taglio ci sarà».
Il via alle riduzioni degli stipendi dei parlamentari l’hanno sempre dato le Camere, con gli uffici di presidenza. A Montecitorio è successo nel 2006, nel 2007 e nel 2010. Tagli che hanno riguardato non sempre la parte più importante dello stipendio, quella che ha determinato i vitalizi, ovvero l’indennità (ora pari a 5.246,97 euro mensili netti) ma più che altro la diaria (3503,11), le spese di soggiorno e telefoniche per intendersi, oppure la voce del forfait per il rapporto con gli elettori (altri 3.690 euro netti al mese). Nel 2007 in realtà non fu decisa una riduzione, ma una sospensione dell’adeguamento retributivo. In quegli anni però la crisi economica non era ancora esplosa con la violenza di questi mesi.

FONTE: ilgiornale.it

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