Il “Rapporto Svimez 2012 sull’economia del Mezzogiorno”, diffuso il 26 settembre, contiene un dato che ha colpito l’attenzione di molti giornali:
di questo passo, per colmare il divario economico tra Centronord e Sud, ci vorranno 400 anni. Il calcolo si basa sugli andamenti degli ultimi dieci anni:
di questo passo, per colmare il divario economico tra Centronord e Sud, ci vorranno 400 anni. Il calcolo si basa sugli andamenti degli ultimi dieci anni:
In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno nel 2011 ha confermato lo stesso livello del 57,7% del valore del Centro Nord del 2010. In un decennio il recupero del gap è stato soltanto di un punto e mezzo percentuale, dal 56,1% al 57,7%.
In realtà le cose stanno peggio, perché non c’è nessuna possibilità che senza una rivoluzione politica, economica, culturale il Sud riduca il divario,neppure di quel modesto punto e mezzo ogni dieci anni. Anche nell’ipotesi più positiva, di un superamento della crisi dell’euro, all’Italia continueranno a essere richiesti pesanti sacrifici, soprattutto in termini di tagli alla spesa pubblica. Le manovre recenti hanno fatto sì che già nel 2011 il Mezzogiorno abbia interrotto il recupero rispetto al Nord. Inoltre, come ha sottolineato nella sua presentazione il direttore della Svimez Riccardo Padovani, le manovre restrittive 2010 – 2011 avranno un impatto sul Pil (prodotto interno lordo) del 2012 di – 0,8% nel Centro – Nord, ma di -2,1% nel Mezzogiorno, contribuendo a un calo del Pil del 2,2 nel Centronord e del 3,5 nel Sud (Italia: -2,5).
Nell’immediato futuro andrà peggio. Nel 2011 il Pil pro capite, cioè la ricchezza prodotta da ogni abitante del Mezzogiorno, è stato pari a 17.645 euro, ma le risorse disponibili sono state pari a 21.894 euro. Si è verificato dunque un trasferimento di risorse da Centronord a Sud pari a quasi 4mila euro per abitante, confermato dal fatto che gli abitanti del Centronord hanno prodotto per 30.263 euro pro capite, ma hanno avuto a disposizione 28.962 euro.È facile immaginare che i futuri tagli alla spesa pubblica ridurranno questi trasferimenti: forse questo taglio servirà a far piazza pulita di molti sprechi, ma nel breve termine certamente aggraverà la situazione del Mezzogiorno. Inoltre si deve tener conto della differenza dell’apparato produttivo. Quello del Centronord ha una vocazione all’esportazione, con un saldo positivo import/export pari al 4,3% del Pil. Nel Sud invece il rapporto è negativo per il 24,1%. In altre parole, quasi un quarto delle risorse utilizzate sono prodotte fuori dall’area. Così, mentre il Centronord può contare su una possibile ripresa trainata dalle esportazioni, il Sud manca anche di questo motore di sviluppo. Annota senza pietà il Rapporto:
In relazione alla competitività, la Svimez ha effettuato una simulazione su dati Eurostat per verificare la relazione tra il Sud e le altre regioni europee in base al costo del lavoro e alla produttività. Ne deriva un gap forte, secondo cui il lavoratore rumeno conviene rispetto al meridionale perché pur essendo meno produttivo costa decisamente molto meno. Un lavoratore meridionale nel 2008, insomma, è costato circa 34.334 euro nel Sud, quanto quasi due polacchi (19.738 euro), sette rumeni (5.429)e quasi dieci bulgari (3.813), mentre il divario di produttività vede il lavoratore del Sud soltanto da 2 a 4 volte più produttivo del collega europeo.
Si configura insomma una situazione in cui Centronord e Sud diventano sempre più Paesi diversi, con dinamiche differenti, anche se la Svimez non manca di segnalare alcune situazioni virtuose nel Mezzogiorno, come quella della Basilicata (Pil +2% nel 2011) e dell’Abruzzo (+1,8%).
Come uscire da questa situazione? Il risanamento del Mezzogiorno richiede certamente una diversa classe dirigente, una più decisa lotta a tutte le forme di criminalità, ma certamente anche investimenti pubblici ben orientati: un requisito impossibile nell’attuale congiuntura e che potrebbe realizzarsi soltanto nel contesto di una vera politica economica europea, cioè di un sostanziale progresso dell’integrazione politica dell’Unione.
Nel frattempo, i giovani pagheranno il prezzo più alto. Dal 2008 al 2012 (confronti al secondo trimestre) il tasso di occupazione tra i 15 e i 34 anni nel Sud è sceso dal 37,2% al 31,3%. Per le donne è solo del 23,8%, anche se sono più scolarizzate dei maschi.
Molti giovani rispondono a questa situazione con la valigia in mano. Negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud circa 2,5 milioni di persone, oltre un meridionale su dieci residente al Sud nel 2010. Nel 2010 sono partiti del Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti.
In molti casi l’emigrazione, a differenza di quella di cinquant’anni fa non è definitiva: nello stesso anno circa 67mila persone sono rientrate nei luoghi d’origine. È anche interessante osservare che i giovani meridionali non si dirigono quasi mai all’estero:
nel 2010 da tutto il Sud sono espatriati 10.800 meridionali,contro gli oltre 28mila del Centro-Nord. Si sono diretti soprattutto in Germania, quasi uno su quattro (23,8%), Svizzera (13,5%) e Gran Bretagna (11,7%). Meno della metà, circa 4.500, sono under 40. Solo uno su dieci è laureato (1.245).
Forse il timore ad affrontare una migrazione internazionale è anche legato allaminore preparazione degli studenti del Sud e delle isole rispetto a quelli del Nord, come risulta dai test Invalsi del 2011 – 2012, soprattutto per Campania, Calabria e Sicilia.
Il quadro, insomma, è tutt’altro che confortante: se anche l’Europa riprenderà a correre, e con essa il Centronord, il Mezzogiorno resterà ancora più indietro. Che fare allora? Chi scrive ha diretto per otto anni, dal 1987 al 1994, un settimanale economico destinato al Mezzogiorno (Capitale Sud). Erano gli anni dell’ultima grande fiammata di speranza provocata dall’intervento straordinario; da quella difficile esperienza ho imparato quanto è difficile proporre ricette che funzionino per lo sviluppo del Sud. Ma su un punto si può essere certi: anche in tempi di spending review e di tagli drastici a tutti i costi del settore pubblico, l’investimento in capitale umano è l’unico che può garantire una ripresa e, nel medio termine, un lento superamento del divario. Forse molti giovani del Sud saranno costretti a emigrare o cambiare regione per trovare lavoro. Non sarà un male, se potranno tornare ai luoghi dì origine forti di esperienze nuove, con la capacità di avviare nuove attività. Ma è essenziale che questi giovani siano messi nelle condizioni migliori per affrontare il mondo.
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