venerdì 28 ottobre 2011

La polemica coi repubblicani, il coltello nella schiena: i pupari all'opera

 La polemica coi repubblicani

Aperta e senza mezzi termini la polemica con i repubblicani, che mostra una certa confusione politica:

“Io ho sempre inteso per Repubblicani i propugnatori dei diritti dell’uomo contro la tirannide, e tali eran certamente i Mille ed i loro valorosi commilitoni del 60. Ciò sia detto spero per l’ultima volta, a confutazione di quei dottrinari (massime mazziniani) che voglion oggi far monopolio dell’idea Repubblicana come se ne fossero essi gl’inventori, come se non fossero mai esistite Repubbliche, e che hanno sempre l’aria di non volermi perdonare la spedizione di Marsala, di non avervi proclamato la Repubblica e di non averla proclamata in altre occasioni in cui mi sono trovato in comando”.

 Si noti l’ossimoro politico dei “garibaldini repubblicani” come il loro capo, che consegnano il Regno da una monarchia all’altra. Un’ingenuità politica che ben rappresenta una certa “confusione”, che spesso ha connotato le scoordinate azioni del Generale.

 

Non meno violento è l’attacco al Governo ed al Parlamento italiano e solo la fama d’eroe internazionale ed i meriti acquisiti con l’unità, e forse la paura di una rivolta, possono aver salvato, ancora una volta, Garibaldi dal carcere se non dal patibolo:

 “Vi sono molti birbanti nel mondo, massime tra i popoli ove domina la corruzione del prete e della tirannide. Ivi si perviene ai gradi, agli onori, all’agiato vivere a forza di bassezze, di umiliazioni e di servilismo; quindi l’onestà non è merito, ma lo è l’adulazione e la flessibilità della schiena e della coscienza.

Fra cotesti birbanti, alcuni onesti o sono impercettibili nella folla o sono tenuti in diffidenza, per il scetticismo che invade le moltitudini sì sovente ingannate. Eppure io conosco degli onesti che potrebbero migliorare la condizione umana, se non vi fossero tanti pregiudizi e tante dottrine.

 Ma come si deve aver fede in cinquecento individui, la maggior parte dottori (… han fatto prova così cattiva fin’ora nei Governi e nei parlamenti da far disperare di loro) e la maggior parte venali, uomini che vengono su dalla melma ove li condannarono la dappocaggine e sovente il vizio; vengono su, dico, a forza di cabale e di favoritismo e si siedono sfacciatamente tra i legislatori d’una nazione coll’unico interesse individuale e disposti sempre a sancire ogni ingiustizia monarchica, coonestando così gli atti infami di governi perversi, che senza quella ciurma di parassiti, avrebbero responsabilità dei loro atti, mentre con parlamenti servili, essi sono despotici e compariscono o si millantano onesti.

 Questi cinquecento fra cui v’è sempre qualche buono, disgraziatamente, si usano come governanti nelle monarchie non solo nei governi imposti, ma pure nei paesi, ove la caduta delle monarchie, come in Ispagna e in Francia, ha lasciato le nazioni padrone di loro stesse … E perchè non scegliere un onesto solo per capitanare la nazione e con voto diretto ? Non è più facile trovarne uno che cinquecento?”

 

Queste affermazioni sulla utilità della Dittatura, nel senso del diritto romano, ovvero scelta dal popolo, è ridondante in tutto il testo: non è inverosimile scorgervi il dubbio postumo di Garibaldi, che sarebbe stato meglio tentare la via di una Dittatura elettiva delle Sicilie.

 Il coltello nella schiena: i pupari all'opera

 Poi Garibaldi si toglie il macigno che gli sta sul cuore da dieci anni e attacca direttamente Vittorio Emanuele e la sua incapacità di realizzare quell’idea di un’Italia Patria vera degli italiani, alla quale il Generale aveva sacrificato perfino la coscienza e infine l’anima, vendendola al diavolo.

 “Il nido monarchico (Napoli) venne occupato dagli emancipatori popolani ed i ricchi tappeti delle reggie furon calpestati dai rozzo calzare del proletario.

Esempi questi che dovrebbero servire a qualche cosa, almeno al miglioramento della condizione umana, che non servono, per l’albagia e la cocciutaggine degli uomini del privilegio, che non si correggono nemmeno quando il leone popolare, spinto alla disperazione, li sbrana con ira selvaggia. ma giusta e sterminatrice!

 I Napoletani, come i Siciliani, non secondi a nessun popolo per intelligenza e coraggio individuale, furon quasi sempre mal governati e sventuratamente molte volte con sul collo dei governi stranieri che solo cercavano di scorticarli e tenerli nell’ignoranza. Ai pessimi governi devesi quindi attribuire il poco progresso in ogni ramo di civilizzazione e prosperità nazionale.

 E questo governo sedicente riparatore, fa egli meglio degli altri? Egli poteva farlo! Doveva farlo! Nemmen per sogno: coteste ardenti e buone popolazioni che con tanto entusiasmo avean salutato il giorno del risorgimento e dell’aggregazione alle sorelle italiane, sono oggi ….si! oggi ridotte a maledire coloro che con tanta gioja, un giorno, chiamaron liberatori!”

 “… il felice regno (delle due Sicilie). Felice! poteva chiamarsi, giacché con tutti i vizi, di cui era incancrenito, il suo governo occupavasi almeno che non morissero di fame i sudditi … Si sa quanto solerte era il governo borbonico per far mangiar

a buon mercato il pane ed i maccheroni … occupazione che disturba poco la digestione di coteste cime che governano l’Italia. Giù il cappello però, esse le cime hanno fatto l’Italia ed avranno fra giorni una statua in Campidoglio, non so di che roba”.

 Dichiarati persino affamatori del popolo i Regnanti, Garibaldi si sofferma sulla vicenda napoletana, sulle mene di Cavour e Vittorio Emanuele per appropriarsi della vittoria e piegarla al giogo sabaudo, nei modi e nei tempi da essi voluti.

FONTE italiainformazioni.it

 

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