venerdì 28 ottobre 2011

Garibaldi ripudia i Savoia

 Il 24 settembre 1874, Garibaldi inviò al notaio Gaetano Cattaneo un corposo manoscritto accompagnato dalla seguente dichiarazione: “Il D.re Riboli vi rimetterà il manoscritto autografo dei Mille, ch’io lego ai miei bambini Manlio e Clelia, e che vi prego di tener depositato presso di voi sinchè dagli stessi reclamato, o da chi legalmente per loro”.

 Il manoscritto perviene nel 1933 all’archivio del Museo del Risorgimento per dono di Donna Clelia Garibaldi. La grafia è nitida e sicura, poche sono le correzioni e le note.

L’opera fu scritta dal Generale tra il 1870 ed il 1872, dopo la presa di Roma e dunque ad unificazione veramente compiuta, ed è da considerare la risposta politica di Garibaldi alle accese polemiche insorte attorno all’unità nazionale, a come essa venne conquistata ed al fallimento delle politiche sociali ed economiche dei Savoia, specialmente nel Mezzogiorno. La prima edizione del libro, finanziata con una sottoscrizione, vedrà la luce nel 1874.

 Si consideri inoltre che nel decennio trascorso si erano registrate diffuse proteste contro lo Stato italiano e rivolte sociali e politiche, represse con efferata violenza dall’esercito e che il brigantaggio, alimentato dal malcontento, era un capitolo ancora aperto, una spina nel fianco del Governo che tentava con ogni mezzo di sminuire il fenomeno dal punto di vista politico, cercando di gabellarlo come fatto esclusivamente criminale.

 Questo scritto di Garibaldi, segue le aspre polemiche collegate alle pubblicazioni del Diario militare dell’ammiraglio Persano e dell’Epistolario di Giuseppe La Farina che determinarono una violenta tempesta politica e sociale, nella quale i repubblicani e la stessa sinistra criticavano aspramente l’operato del Generale ed il modo in cui si ottenne l’unità. Ma il testo è certo anche l’esito della presa di coscienza del Generale della inadeguatezza della Dinastia, a fronte del fallimento, se non della omissione, di una adeguata politica socio economica.

 Il Generale era furioso e scrisse senza veli il suo pensiero, anche se cautela e prudenza gli consigliarono, per bocca di tanti amici, di esprimersi sotto le mentite spoglie del “Romanzo storico”. Invero nell’introduzione postuma Garibaldi afferma: ”E qui io devo una confessione al lettore: io scrissi bene o male sotto forma romantica una campagna ch’io potevo esibire puramente storica, e che spero, narrata nelle mie memorie senza involto romantico, essa potrà bene, alla storia servir di materiale.”

 Garibaldi con I Mille, volle chiarire la sua mutata posizione politica, determinata dal fatto che proprio nel momento in cui si era compiuta l’unità con la presa di Roma, la Dinastia si palesava impari al compito che la storia le aveva assegnato e forse neanche moralmente degna di questo.

Risultava conseguente un diffuso accanimento politico contro gli eventi che avevano portato alla creazione del Regno d’Italia e soprattutto contro l’impresa che ne era stata il cardine, ovvero l’invasione garibaldina e la conseguente caduta del Regno delle due Sicilie.

 Queste sono parole del generale:

“I Governi sono generalmente cattivi, perchè d’origine pessima e per lo più ladra; essi, con poche eccezioni, hanno le radici del loro albero genealogico nel letamajo della violenza e del delitto.

Al loro sorgere – tempi feudali – essi dopo d’aver cacciato l’aquila dal suo nido l’occupavano e da li piombavano sulle inermi popolazioni, rubando quanto a loro conveniva: messe, frutta, donne e sostanze d’ogni specie, per provvederne i loro covili che chiamavan castelli.

 A’ tempi nostri (1870) non meno feudali di quelli, più potenti i signori, più numerosi i birri e più servili e prostituiti i satelliti, benché i bravi si chiamino “Pubbliche sicurezze” e i Signori Re e Imperatori, credo si stia in peggiori condizioni, essendo gli ultimi più potenti dei primi e con una sequela di legali cortigiani, sempre pronti a sancire, colla maggioranza dei loro voti, ogni più turpe mercato delle genti o delle loro sostanze.

 Al governo della cosa pubblica poi, giacchè i padroni regnano o imperano e non governano, vi si collocano sempre coloro che ne son meno degni, od i più atti a governare, non volendo i despoti gente onesta a tali uffici, ma disonesti come loro, striscianti e corruttori parassiti, coll’abilità della volpe o del coccodrillo.

Ciò non succede soltanto nelle monarchie dispotiche, più o meno mascherate da liberali, ma spesso anche nelle Repubbliche, ove gl’intriganti s’innalzano sovente ai primi posti dello Stato, ingannando tutto il mondo con ipocrisie e dissimulazioni, mentre gli uomini virtuosi e capaci, perché modesti, rimangono confusi nella folla, a detrimento del bene pubblico.”

FONTE italiainformazioni.it

Nessun commento:

Posta un commento