Dato che la gestione degli extra è a totale discrezione del parlamentare, non esiste alcun controllo per verificare se sono spesi nell'interesse della collettività. Una proposta da parte della deputata radicale Rita Bernardini per rendere obbligatori i rendiconti ha trovato solo 80 deputati a favore. Né la maggioranza né l'opposizione, dai capigruppo ai leader, vi hanno aderito.
I parlamentari hanno anche accesso a un sistema sanitario «deluxe» rispetto a chi li vota, che va dalle cure dentistiche ai massaggi shiatsu e alle terme, mentre uno dei provvedimenti d'immediata attuazione della manovra Tremonti inserisce, per noi comuni cittadini, il ticket di 10 euro per le visite specialistiche nella sanità pubblica. Nel 2010 la spesa per gli extra dei deputati è stata di 10,1 milioni di euro. E poi ci sono i pasti a Montecitorio sovvenzionati dal contribuente per un costo di 5,5 milioni di euro, e la tessera di un country dub in riva al Tevere. Dulcis in fundo, gli uffici fuori Montecitorio, sempre a spese nostre, nel 201 O ci sono costati 45 milioni di euro.
Anche quando non è più in servizio, pagare un politico italiano costa più che mantenere una Ferrari. Si ha diritto alla pensione dopo appena cinque anni di mandato con un assegno mensile «base» di 2486 euro, l'importo varia da un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento dell' indennità parlamentare, a seconda degli anni in carica. Il collega tedesco ne percepisce 961, e quello francese appena 780. E così, tra parlamentari attivi e in pensione, nel 2010 il costo complessivo della Camera dei deputati italiana è stato di un miliardo di euro mentre quello del Senato di 600 milioni. Da uno studio di Tito Boeri, pubblicato sul Wall Street Journal» a luglio 2011, risulta che dal 1948 a oggi i salari dei nostri deputati sono cresciuti in media ogni anno del 9,8 per cento contro il 13 per cento di quelli degli operai. Il triplo. E c'è la crisi! Non a Montecitorio.
La società civile è stanca e provata da una recessione che non accenna a finire ma soprattutto è stufa di una classe politica inetta che la deruba da decenni. Perfino nella stoica Gran Bretagna, lontana mille miglia dal Mediterraneo, il popolo è sceso in piazza per dire basta. In primavera i giovani per protestare contro l'aumento delle tasse universitarie; a fine giugno è stata la volta dello sciopero generale degli statali contro l'aumento dell' età pensionabile e la riduzione delle pensioni. Si è trattato del primo grande sciopero in venticinque anni, vi hanno aderito tutti i sindacati e la stragrande maggioranza dei lavoratori. Poi ad agosto è scoppiata la rivolta nelle strade.
É ormai chiaro che la responsabilità del disastro economico che si è abbattuto sul Vecchio Continente non è circoscritta alle banche e alle società finanziarie. Il malgoverno ha permesso abusi e lasciati impuniti reati come l’evasione fiscale, che hanno contribuito all’impoverimento dello Stato. Quasi 300 miliardi di euro il valore totale dell'evasione e dell'economia sommersa in Italia, queste le stime ufficiali per il 2010 ma le cifre reali sono ben più elevate. Basterebbe tassare pesantemente questa ricchezza per azzerare il deficit di bilancio e portare simultaneamente il debito pubblico sotto il tetto del 100 per cento del Pil. Ma non succede. Perché?
L’Italia, con una delle più alte percentuali di evasori al mondo, ben illustra le difficoltà e le contraddizioni delle politiche fiscali europee: Tremonti vara lo scudo fiscale e «perdona» il reato di evasione ma poi lascia che la maggior parte dei fondi «ripuliti» rimanga all' estero, non condiziona lo scudo al rimpatrio a lungo termine. Così, con pochi, semplici clic, i soldi degli evasori sono entrati sporchi e subito dopo sono usciti puliti. Solo una piccolissima percentuale dei beni cosiddetti «scudati» è rimasta in patria. Allora a cosa è servita quest'operazione? Se lo domandano in molti in Europa e nel resto del mondo. Nel frattempo, per mascherare questo gigantesco fiasco a favore dei truffatori, in Italia si aumentano le aliquote su chi paga le tasse, ormai le più alte in Europa. Al netto dell' evasione fiscale, e quindi sul gettito complessivo delle entrate del fisco, la pressione fiscale in Italia è del 53 per cento. È giusto tutto questo? Gli Indignati italiani e i cugini mediterranei hanno già una risposta sicura.
Se i Pigs fossero imprese e i loro parlamenti un consiglio di amministrazione, i soci li avrebbero già buttati fuori tutti. E invece, come in un perverso gioco della sedia, al governo si alternano le stesse facce e si perseguono le stesse politiche. Prendiamo, ad esempio, la spesa per la difesa. Da anni la super deficit aria Grecia spende più del 2,5 per cento del Pil per armarsi contro nemici immaginari. Perché nessuno ha pensato a ridurre questa voce di bilancio?
Un discorso a parte va poi fatto per le fondazioni. Perché si moltiplicano, a nome di politici più o meno in carica, istituzioni che non risolvono certamente i mali economici del continente? Negli ultimi anni abbiamo assistito al proliferare di think tank, termine altisonante sotto cui si nascondono le solite lobby delle oligarchie del denaro, spesso finanziate dalle grandi multinazionali come la Monsanto americana. Da dove arrivano però i soldi per gestirle? Dallo Stato, naturalmente; uno Stato che non è affatto meno presente nell' economia rispetto al passato, ai tempi del Welfare State. Piuttosto la sua partecipazioni ha scopi diversi.
Oggi i nostri soldi vengono letteralmente sperperati attraverso un complesso sistema di appalti che distribuisce il denaro pubblico a società di comodo gestite da amici, familiari e compari delle élite politiche. In Italia e in Spagna la lista degli scandali immobiliari di questo tipo è lunghissima ci vorrebbe un'enciclopedia per elencarla tutta. Il movimento israeliano 14 Luglio denuncia la medesima speculazione e lo fa dando vita a una serie di tendopoli nelle piazze di Tel Aviv. Il suo slogan è «Case accessibili a tutti».
Lo Stato ormai appalta anche le mansioni degli impiegati ministeriali, altra categoria di lavoratori garantiti dove abbondano gli sfaccendati. E questa pratica è diffusa non solo in Italia e in Spagna, ma anche in Grecia e Portogallo. Ce lo spiega Elena, una precaria italiana.
Sono laureata a pieni voti e ho un master in comunicazione. Lavoro da quattro anni per il ministero dell'Agricoltura, mi occupo di relazioni esterne e promozione dell'immagine, però non sono una ministeriale ma una precaria. Sono impiegata a tempo determinato da una cooperativa alla quale il ministero subappalta una serie di lavori che i ministeriali ormai non svolgono più. Si tratta naturalmente di un escamotage per servirsi dei precari e deviare una parte della spesa pubblica verso aziende private, che sono "vicine" alla classe politica.
Se avessi un contratto a tempo determinato con il ministero dopo un certo periodo di tempo scatterebbe automaticamente l'assunzione a tempo indeterminato, lo dice la legge. Appaltando i lavori a imprese esterne si aggira la norma. I miei contratti cambiano spesso proprio per questo motivo, sebbene da quattro anni faccia lo stesso lavoro nel medesimo ufficio, già sono stata assunta da due società diverse e ho firmato quattro contratti di lavoro distinti, anche per la durata di solo sei mesi, i cosiddetti contratti CO.co.pro.»
FONTE: Dott. Beppe De Santis, Segretario Nazionale Partito del Sud
FONTE: Dott. Beppe De Santis, Segretario Nazionale Partito del Sud
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