Lo sviluppo della vocazione meridionalista di Sturzo coincide con le tappe del suo impegno socio-politico. Nel meridionalismo sturziano possiamo distinguere tre fasi: a) una prima che va dalla sua prima attività pastorale e sociale a Caltagirone e dalle lotte contadine in Sicilia al discorso di Napoli del 18 giugno 1017; b) una seconda che coincide col periodo <<popolare>> e che trova nel discorso di Napoli del 18 gennaio 1923 la trattazione più ampia e l’espressione sintetica del suo pensiero politico riguardante il ruolo del Mezzogiorno nella politica nazionale e internazionale; c) la terza fase è quella dell’ultimo dopoguerra, dopo il ritorno dall’esilio, in cui Sturzo riprende le tesi del collegamento fra meridionalismo e decentramento dello Stato attraverso le regioni e insiste su uno sviluppo del Sud collegato con le particolari caratteristiche geografiche, storiche e culturali del territorio.
a) Nella prima fase del meridionalismo sturziano è prevalente la sua attività pastorale e il suo impegno nel partecipare alla vita del movimento cattolico sociale in Italia. Sturzo, nel 1901 pubblicò un articolo sul giornale da lui fondato a Caltagirone “La Croce di Costantino” in cui, dopo essersi dichiarato “unitario, ma federalista impenitente”, sostiene che solo attraverso lo sviluppo di un largo decentramento, il Mezzogiorno avrebbe potuto trovare la via del riscatto. Sturzo cominciò ad affermarsi come meridionalista al di là dell’ambito calatino, con un articolo pubblicato su “Il sole del mezzogiorno” che prese il titolo dal noto libro di Nitti “Nord e Sud” ma mentre per Nitti la questione meridionale era esclusivamente economica, per Sturzo era di carattere sociale, politico e religioso e implicava la partecipazione attiva dei meridionali.
Fu soprattutto durante i lavori del XIX congresso nazionale dell’Opera dei Congressi, che si svolse a Bologna dal 10 al 14 novembre 1903, che Sturzo s’incominciò ad affermare come un meridionalista convinto che collegò <<la questione cattolica>> con <<la questione meridionale>> intesa come <<questione nazionale>>. Sturzo offre un’analisi <accurata, coscienziosa, sobria> della questione meridionale come <un vitalissimo problema di vita nazionale> alla cui soluzione anche i cattolici dell’alta e media Italia devono partecipare <con senno, solidarietà e amore fraterno>.
E appunto parlando delle popolazioni del Nord Sturzo li chiama <fratelli del nord> e non <nemici> del Sud ed invoca il principio della <solidarietà> nazionale basata sul cristianesimo. Parlando delle conseguenze che la politica dei governi centrali ha avuto sul Meridione, sostiene che i meridionali sono stati sfruttati e resi schiavi attraverso una politica economica e finanziaria che ha tenuto in conto solo gli interessi del Nord e che ha trascurato quelli del Sud, una politica sociale che non ha risolto i mali dell’analfabetismo, dell’assenteismo dei grandi proprietari latifondisti, attraverso un centralismo soffocante che ha ridotto l’unità a uniformità e ha avviato un processo che oggi chiameremo di omologazione culturale, che ha soffocato le culture e le tradizioni locali.
Nel discorso pronunciato a Napoli nel 1917, in occasione del convegno “per gli interessi del Mezzogiorno” Don Sturzo, dopo aver affermato che la questione meridionale è “un problema morale e politico di primissimo ordine (…) che ha una decisiva importanza per il nostro avvenire e il nostro risorgimento”, sfronda il terreno da una serie di pregiudizi riguardanti il Mezzogiorno e i meridionali, accusati di immaturità politica, di passionalità eccessiva, di poca correttezza, di spirito di servilismo, e arriva al nocciolo del problema: l’immagine falsa che molti hanno del Mezzogiorno è dovuta al comportamento della <<borghesia professionista>>, spesso anticlericale, che rappresenta male il Mezzogiorno e al malgoverno dovuto anche agli uomini politici meridionali che spesso hanno favorito la camorra e la mafia.
Sturzo afferma che la rinascita economica e politica del Mezzogiorno potrà realizzarsi puntando su nuovi soggetti storici: le classi medie, i contadini e gli operai, i giovani; essi, per ristabilire la giustizia violata, devono organizzarsi e rendersi protagonisti del proprio riscatto attraverso la partecipazione attiva alla vita politica e al processo produttivo. Per sturzo il problema meridionale è innanzitutto un problema morale per la cui soluzione occorre una visione religiosa della vita. Questa sua convinzione lo spinse a impegnarsi per il recupero di una nuova pastoralità al clero meridionale e per la rinascita nel popolo di una fede convinta, da cui derivassero coerenti atteggiamenti morali.
b) Durante il periodo in cui Sturzo fu segretario del Partito Popolare Italiano, nel discorso di Napoli del 18 gennaio 1923, disse che questo mezzogiorno povero può risorgere se la politica che la nazione italiana saprà fare sarà una politica forte e razionale, orientata al bacino del mediterraneo. Sturzo si rende conto della gravità dei problemi del mezzogiorno, del suo ritardo in campo economico, culturale e sociale, ma intuisce che i problemi del Sud non possono essere risolti con un assistenzialismo governativo piovuto dall’alto e con una politica clientelare che tende a dare risposte parziali e contraddittorie, ma vanno risolti collegando il problema del mezzogiorno ai più generali problemi della comunità nazionale e internazionale. Egli prende le distanze da un certo meridionalismo <<piagnone>>. Secondo Sturzo “il risorgimento meridionale è opera lunga, vasta, di salda cooperazione nazionale; e che come spinta, orientamento, convinzione, parta dagli stessi meridionali”.
c) Dopo il suo contrastato ritorno dall’esilio Sturzo riprende la sua battaglia meridionalista rivendicando una reale autonomia per la Sicilia in contrapposizione alle tendenze separatiste e insiste su uno sviluppo del Sud collegato con le particolari caratteristiche geografiche, storiche e culturali del territorio e col rispetto delle tradizioni delle popolazioni meridionali.
Per Sturzo la tutela dell’ambiente soprattutto della montagna e dei boschi è collegato con uno sviluppo economico orientato al bene comune e la questione meridionale, come questione nazionale, implica un’attenzione particolare alla tutela dell’ambiente e il riordino del sistema montano che deve essere prioritario rispetto alla bonifica integrale e alla proprietà contadina. Egli riteneva possibile uno sviluppo industriale equilibrato, complementare con quello agricolo, forestale, fluviale, montano. Per Sturzo la ripresa dell’agricoltura, soprattutto nelle regioni meridionali, passava attraverso la tutela della montagna e la salvaguardi dei boschi e per l’industrializzazione del Mezzogiorno occorrevano stanziamenti per le foreste; per lui il Mezzogiorno, oltre alla terra con un’agricoltura meccanizzata e moderna collegata con industrie di trasformazione dei prodotti agricoli doveva puntare anche alla valorizzazione del mare, a una politica energetica e allo sviluppo del turismo, rispettoso della natura. Dagli scritti di Sturzo emerge uno stretto rapporto fra questione ambientale, economia, questione sociale e questione morale.
A Don Luigi Sturzo andrebbe riconosciuto il merito di avere fra i primi, profeta inascoltato, gridato in difesa delle montagne e delle foreste, di avere denunciato il pericolo di creare mega impianti industriali inquinanti come “cattedrali nel deserto” e di avere lottato contro le <<male bestie>> che inquinavano anche l’ambiente umano e la società civile: lo statalismo, la partitocrazia, l’abuso del denaro pubblico.
Sturzo s’interessa dei problemi culturali e sociali dell’ambiente e voleva che la cultura generale s’indirizzasse verso l’istruzione professionale, artigiana ed agricola ma mette anche in evidenza i difetti dell’ambiente quali il provincialismo, la limitatezza dei mezzi, la sfiducia reciproca, la critica dei fannulloni, l’oppressione dei mafiosi, l’intrigo dei profittatori, che rendono difficili le iniziative e contestabili i piani audaci e generosi. In merito al fenomeno mafioso don Luigi Sturzo osservava che esso si era trasferito dalle campagne alle città, dalle case dei latifondi a quelle degli uomini politici, dai mercatini locali agli enti pararegionali e parastatali; egli sostiene che la mafia potrà essere sconfitta attraverso un profondo cambiamento di mentalità che porti a non idolatrare il denaro e la violenza e a ritrovare il nesso indispensabile che deve legare morale e politica.
Il progetto sturziano per lo sviluppo del Mezzogiorno sembra difficile, ma la centralità che sta riprendendo l’area mediterranea nell’economia mondiale con lo spostamento del baricentro dagli USA a paesi come l’India e la Cina e con il ruolo che nel terzo millennio giocherà l’Africa, la necessità di nuove regole di natura morale nell’economia dopo la crisi finanziaria dei nostri giorni e la ripresa in Italia del dibattito sul federalismo fiscale nell’ambito di una solidarietà nazionale ci dicono che alcune intuizioni di Sturzo rimangono ancora valide. Uno degli insegnamenti di Sturzo, valido e attuale oggi in un momento di caduta di valori etici comunemente condivisi, è che la soluzione della questione meridionale, come questione nazionale, è innanzitutto una soluzione etica, che si serve dell’economia e della politica come importanti e necessari strumenti, ma che trova il suo fulcro in una collaborazione tra Stato ed energie umane, economiche e sociali dei meridionali, cementate da una comune tensione morale e religiosa.
FONTE: ilgiornaledigela.it
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