Tutti a ridacchiare col film “Benvenuti al Nord”, dopo aver ridacchiato col precedente “Benvenuti al Sud”. Storie di pregiudizi fra terroni e polentoni in verità molto più vicini fra loro, a cominciare dai difetti. Ma pochi a conoscere il “Bentornati al Sud”, gruppo costituitosi in Internet e partendo da Lecce. Sono giovani meridionali andati via come altri per studiare fuori o a caccia di un lavoro, e tornati al Sud. E tornati per scelta, non nella disperazione di una sconfitta per un lavoro non trovato neanche lì. La scelta di inventarselo al Sud un lavoro, di non tradire se stessi e la loro terra, di poter dire che anche qui si può, e di dimostrarlo.
Sono finora una quarantina i componenti del gruppo, e in tutto il Mezzogiorno.
E così ecco nascere cooperative, e studi professionali, e piccolissime aziende, e partite Iva. Tutti sostenuti dal sacro fuoco della lotta e della scommessa. Magari ad arrancare e a faticare. Ma tutti con la ferma determinazione che indietro non si torna.
Ma c’è anche chi la propria terra non ha mai voluto lasciarla, e dichiarandolo, e organizzandosi insieme per riuscirci. Così ecco il “Noi restiamo in Calabria”, giovani e meno giovani che avevano tutti i motivi per abbandonare come tanti la regione più difficile d’Italia e hanno cercato di darsi altrettanti motivi per non farlo. E anche qui un fiorire spesso inaspettato di iniziative, molte legate all’antico rapporto meridionale fra l’uomo e la natura, l’ambiente come tesoro unico e irripetibile. Ma iniziative, sia chiaro, cui nessuno dà una mano, nella maledizione di burocrazie che ostacolano invece di favorire. E, purtroppo, nella maledizione dell’incendio doloso notturno, cui seguono solidarietà tanto untuose da sembrare altri incendi dolosi. Perché, per restare, si deve pagare anche un pedaggio.
Chi torna, chi resta. E chi continua ad andare. Gli ottantamila laureati o diplomati all’anno, quelli che il Sud paga col suo sangue per formare e istruire. E del cui talento, della cui cultura, del cui entusiasmo, della cui tenacia beneficia non il Sud che ne avrebbe più bisogno. Centomila euro ciascuno, è stato calcolato costare il loro famoso titolo di studio, altre risorse impiegate e perse dal Sud in un viaggio in grande maggioranza di sola andata verso altri lidi. E tutt’altro che candidati al posto fisso, che solo loro devono togliersi dalla testa nel Paese in cui è tutto fisso, dai politici ai privilegi. E un Paese in cui l’”ascensore sociale” consiste ancòra nel far diventare notaio e medico il figlio del notaio e del medico, non il figlio dell’operaio.
C’è chi parla di “tsunami sociale”, il Sud che non sarà più un Paese per giovani, sempre più da loro abbandonato, anzi già ora con meno figli che altrove. Ma c’è chi non considera solo un dramma i “piedi leggeri” dei giovani. Non un dramma nel tempo in cui si nasce col trolley alla mano. Nel tempo in cui con qualche decina di euro si va e viene da Milano. Nel tempo in cui il viaggio è il sistema circolatorio del pianeta. Nel tempo in cui la metà dei commerci internazionali si svolge via computer. Nel tempo in cui la rete di Internet ti fa stare al centro dell’universo pur restando a casa tua. Nel tempo dell’informazione globale che mette tutto a portata di tutti. E nel tempo in cui c’è chi va via per scelta, i “Terroni 2.0” per il quali la casa è il mondo.
E’ un tempo in cui le radici non sono solo legate al filo d’erba, ma alla conservazione del modo di essergli figli, del proprio senso della vita nel dialogo e nel confronto con altri. Apertura come arricchimento non come pericolo. Altrimenti nuovi muri si alzano. Perciò forse i “nuovi meridionali” saranno il futuro del Sud e dell’Italia. Se viaggiano, non sono solo emigrazione. Certo, la maggior parte sono perduti, dobbiamo vederli mettere tailleur o cravatta altrove e tornare nei loro paesi di vecchi solo a Natale e a Ferragosto. Ma pur nell’esodo come dolorosa emorragia, sono sempre più quelli che restano, cominciano a contare quelli che tornano, sono un possibile appuntamento di domani quelli andati via perché si va.
Hanno tutti la capacità di sofferenza di chi ha sempre dovuto superare più difficoltà di altri. E poi quelli che sono fuori, e sempre più spesso sentiamo dei loro successi: domani potrebbero mettersi tutti in rete con chi è restato e con chi è tornato, inventare una grande comunità non solo virtuale che inonda il Sud del loro talento ovunque sia. Perciò sono una buona notizia i “Bentornati al Sud”. Perciò sono una buona notizia gli “Io resto in Calabria”. Ma perciò non sono solo una cattiva notizia gli ottantamila all’anno col trolley. Perciò non sono affatto una cattiva notizia i “Terroni 2.0”. Chissà che per il Sud qualcosa non stia nascendo senza accorgesene.
FONTE: lagazzettadelmezzogiorno.it
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