Se la scuola cancella le regine delle lettere
Ginzburg, Romano, Banti e Ortese sparite dai programmi del ministero
Fatta la riforma gabbato lo santo. La riforma è quella varata dal precedente governo e riguarda gli «obiettivi specifici di apprendimento» nei nostri licei. E il santo? Dipende dal punto di vista. Per esempio, lette da Napoli, le indicazioni dei nomi da studiare nel secondo biennio appaiono in tutta evidenza discriminanti, ignorano cioè la letteratura meridionale. In Giù al Sud (sottotitolo: Perché i terroni salveranno l'Italia), il saggista Pino Aprile ha dedicato un intero capitolo alla scelta della commissione ministeriale, facendo notare che, a parte Verga e Pirandello, su 17 poeti e scrittori consigliati non c'è un solo nome a sud di Roma. «Integrare le indicazioni didattiche con Quasimodo, Gatto, Scotellaro e di altri intellettuali del nostro Sud» è ciò che rivendica l'appello lanciato dal Centro di documentazione della poesia del Sud. Ne ha parlato di recente ilCorriere del Mezzogiorno, facendo sua la campagna di denuncia contro il «complotto nordista».
Nel XX secolo, la triade poetica ormai accertata è Ungaretti-Saba-Montale: con buona pace di Quasimodo, la «poesia onesta» dell'Umberto triestino ha acquisito giustamente una posizione di assoluto rilievo, per non dire che la sua «chiarezza» e la sua cronistoria quotidiana sono molto più commestibili per un giovane che non la retorica ermetica di Quasimodo. Piuttosto, è vistosa l'assenza dei grandi di inizio secolo: dov'è finito Gozzano? E il futurismo? E Palazzeschi? Saltati a pie' pari. Tra le altre voci poetiche consigliate, è un peccato che siano messi solo tra parentesi i monumenti di Dino Campana e Clemente Rebora. E tra i postmontaliani, i nomi citati sono quasi un riflesso automatico: Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto... (posti tra parentesi e con opportunissimi punti di sospensione a seguire). Riflesso più che automatico, anzi, perché oltre ai «terroni» Gatto e Sinisgalli, manca, tra l'altro, un accenno ai neosperimentali (Sanguineti in testa).
Si diceva delle colpe veniali e delle gravi. Grave è l'aver limitato la presenza femminile alla sola Morante, come se Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Anna Banti, Anna Maria Ortese (e in poesia almeno Amelia Rosselli e in parte Alda Merini) non esistessero: ciò sia inteso non in ottemperanza a presunte pari opportunità (che in letteratura non contano), ma semplicemente per giustizia. Ultimo peccato capitale: dov'è la letteratura dialettale? Ma come, i programmi di liceo (scritti dal ministero Gelmini) alla fine oscurano la gloriosa tradizione poetica dialettale, quando a giorni alterni i leghisti di governo minacciavano (assurdamente) di inserire il vernacolo tra le materie d'insegnamento. Pazzesco. Non un cenno a Porta né a Belli. E piuttosto che pensare a Quasimodo, perché non lamentare la dimenticanza di Trilussa e Di Giacomo? E a Nord, piuttosto che insegnare a parlare dialetto, perché non insegnare a leggere il triestino Virgilio Giotti, il gradese Biagio Marin, il milanese Delio Tessa, che urlava: «L'è el dì di Mort, alegher!». Anche perché, diciamo la verità: c'è anche un versante comico (da Cecco Angiolieri a Zavattini, Campanile, Benni) nella nostra storia letteraria! Facciamoli ridere, i nostri ragazzi. Alegher.
FONTE: corriere.it
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