Margherita d’Ambrosio
Quando in Italia si parla di corruzione, viene immediato a tutti 
pensare alle “tangenti” ed al giro di appalti e di speculazioni di cui 
le pagine della cronaca italiana trasudano ogni giorno. Viene da pensare
 ad affari loschi, all’universo dei politici prezzolati ed entrati in 
politica per perseguire il proprio tornaconto. Alle cosche mafiose, ai 
camorristi, alla ‘Ndrangheta ed alla Sacra Corona Unita, tristemente 
assurta agli onori delle cronache di questi ultimi giorni. Viene da 
pensare alle inefficienze della pubblica amministrazione, agli enormi 
sprechi di denaro pubblico, alle opere faraoniche incompiute ed a quelle
 che mai si faranno, come il Ponte sullo Stretto e che comporteranno 
altro sperpero di denaro pubblico ed altri oneri a carico dei 
contribuenti per le clausole risolutive dei contratti. Viene da pensare 
ai faccendieri, agli immobiliaristi, agli intermediari, ai consulenti, 
ai banchieri, alla pletora di portaborse, segretari, buffoni, giullari 
di corte e ballerine ed a quanti a vario titolo sono al seguito del 
potente di turno e beneficiano di privilegi acquisiti non per proprio 
merito, ma per una più o meno millantata “conoscenza” con l’uomo del 
momento. Viene da pensare alle nomine dei primari negli ospedali, quasi 
mai per merito e sempre più spesso dovute alla militanza in un partito. 
Viene da pensare ai fannulloni del Ministro Brunetta, all’universo dei 
dipendenti pubblici sfaticati, indolenti, sempre pronti a frodare lo 
Stato ed a rubare lo stipendio. E così via.
Ed invece no. Non c’è 
solo questo tipo di corruzione.
In Italia, il nostro Paese, la nostra Patria, il “giardin de lo 
imperio” di dantesca memoria, il fenomeno della corruzione assume 
miriadi di sfaccettature e talvolta si connota semplicemente con la 
nomina di “dirigenti”, di uomini risolutivi, di deus ex-machina 
individuati per i loro curricola ed inviati sul territorio nella 
salvifica missione di rimetter a posto gli scempi prodotti da intere 
schiere di lavoratori totalmente inadeguati. Regola che vale ancor più 
per un Meridione martoriato, sprecone e lavativo che contribuisce in 
bassa percentuale alla formazione del Pil del Paese e produce un 
aggravio di tasse per i cittadini del Nord.
Accadde così che un giorno, nell’intento di riparare l’ennesimo 
malfatto nel Meridione, venne nominato il Dott. Marino Massimo De Caro 
quale direttore del Complesso Monumentale della Biblioteca dei 
Girolamini di Napoli, che verteva in stato di degrado ed abbandono dagli
 anni 80.
La Biblioteca dei Girolamini fu aperta al pubblico nel 1586 e custodisce
 circa 160.000 testi antichi, tra cui incunaboli, cinquecentine, 
manoscritti rarissimi, l’intera collezione privata di Giuseppe Valletta,
 il Fondo Agostino Gervasio, il Fondo Filippino e le opere di 
Giambattista Vico, donate dal grande filoso ai Padri Oratoriani. Una 
collezione antica rarissima, di valore inestimabile e totalmente 
abbandonata ed incustodita, al punto da non poter identificare con 
certezza a quanto ammonti il patrimonio di libri sottratti negli anni e 
negli ultimi mesi, dalla nomina di cotanto genio.
Quello che è certo è che pochi giorni fa, in un deposito di proprietà
 dell’esimio Dott. De Caro, nei pressi di Verona, sono stati ritrovati 
scatoloni con migliaia di libri, di cui 279 provenienti senza ombra di 
dubbio dalla Biblioteca dei Girolamini di Napoli.
Oggi si scopre che i millantati titoli del Dott. De Caro non 
esistono, non sono mai esistiti e pare sia sì insignito di una laurea, 
ma ottenuta in Sudamerica dall’Universidad Abierta Interamericana, ma 
dopo donazione di alcune opere di Galileo Galilei e di un presunto pezzo
 di meteorite del deserto. Anche questi doni trafugati, vien da 
chiedersi?
Ma chi è il Dott. Marino Massimo De Caro, oggi arrestato dalla 
Procura di Napoli con l’accusa di furto di intere collezioni di libri e 
suppellettili dell’antico oratorio partenopeo?
Il Dottore senza titoli è un amico intimo dell’Onorevole Dell’Utri, 
già nominato consulente esperto dal Ministro Galan per le tematiche più 
varie. Il suo immenso sapere spazia dalla cultura all’editoria, 
dall’esperienza consolare alla costruzione di impianti di produzione di 
energia dalle fonti rinnovabili.
Un genio incontrastato, insomma, un asso, un jolly nella manica, 
l’uomo chiave per la risoluzione di problemi difficili. L’uomo chiave 
invischiato in precedenti accuse di ricettazione, che avevano impedito 
la sua nomina a Console Onorario del Congo e riconfermato per la sua 
insostituibile competenza dal Ministro Ornaghi.
Un illuminato, piombato nella Terronia ed in quel di Napoli, città 
emblema del degrado e della corruzione dilagante, nonché 
dell’incompetenza con il preciso intento di dilapidare un patrimonio 
librario inestimabile e che solo per un soffio non è approdato a far 
bella mostra di sé nelle librerie private dei collezionisti di mezzo 
mondo. Città in cui è presente un’Università degli Studi Filosofici 
delle più antiche e prestigiose d’Italia, nota in tutto il mondo e nella
 quale sicuramente non era possibile reperire risorse umane locali più 
che qualificate ed in grado di poter riqualificare tale tesoro e 
riportarlo agli splendori ed ai fasti dei tempi che furono.
Si è preferito scegliere un uomo la cui intenzione era quella di 
scavare le povere ossa di Giambattista Vico. Voleva vendere all’Estero 
anche quelle come preziosa reliquia?
Ai posteri l’ardua sentenza.
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