lunedì 31 ottobre 2011

DEGLOBALIZZARE PER SOPRAVVIVERE


Alle primarie socialiste francesi Arnaud Montebourg, 48 anni, che rappresenta la sinistra del partito, ha preso il 17% dei voti proponendo la deglobalizzazione attraverso il ritorno a un forte protezionismo.

Mi fa piacere perché è quanto vado proponendo, nei miei libri e col mio micromovimento cultural-politico, Movimento Zero, da una quindicina d’anni (un tema che, incidentalmente, avevo ripreso, sia pure in estrema sintesi, nello scorso Battibecco), anche se io parlo di autarchia europea, Montebourg, più prudentemente, di protezionismo, ma sostanzialmente si tratta della stessa cosa.

Il successo di Montebourg significa che una parte della base della sinistra francese comincia a rendersi conto degli effetti devastanti della globalizzazione e della mondializzazione (anche se si tratta di due concetti diversi: il primo è economico e riguarda la “reductio ad unum” dell’intero esistente al modello di sviluppo occidentale; il secondo la tendenziale unificazione del mondo in un unico Stato, a guida americana, naturalmente), terreno finora coltivato da nicchie culturali di destra.

È un programma, quello di Montebourg, che se non altro ha il pregio della diversità. In Italia siamo invece all’encefalogramma piatto. Il dibattito politico si riduce all’eterna diatriba tra berlusconiani e antiberlusconiani che ha finito per stancare tutti, almeno quelli che non si sentono di appartenere a nessuna di queste due squadre.

Intendiamoci, il discorso della legalità è importante: è il minimo comun denominatore perché una comunità possa tenersi insieme. Ma non basta. Epperò anche le rare volte che destra e sinistra escono dalla zuffa permanente non fanno che riproporre le solite, muffe, ricette, la crescita, la modernizzazione, insomma l’adesione acritica al paranoico modello del produci-consuma-crepa che è anzi diventato un ancora più demenziale consumare per produrre.

Anche se gli attuali esponenti della destra e della sinistra sono delle mediocri banalità, le ragioni di queste loro incapacità di uscire da quello che viene chiamato il “pensiero unico”, sono tutt’altro che banali. Marxismo e liberismo, destra e sinistra nelle loro varie declinazioni sono in realtà due facce della stessa medaglia: la Modernità. Sono entrambi figli della Rivoluzione industriale, illuministi, ottimisti, positivisti, economicisti, hanno entrambi il mito del lavoro (per Marx è “l’essenza del valore”, per i liberisti è esattamente quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso “plus valore”) e si sono illusi che industria e tecnologia avrebbero prodotto una tale cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini (Marx) o quantomeno la maggior parte di essi (i liberisti). Questa utopia bifronte è fallita.

Io vedo marxismo e capitalismo come due arcate di un ponte che si sono sostenute a vicenda per due secoli e mezzo. Il crollo del marxismo prelude quindi a quello del capitalismo il cui sgretolamento sta avvenendo sotto i nostri occhi e alla cui fine ci aspetta una catastrofe planetaria. Ma gli stanchi epigoni del capitalismo e di quel che resta del marxismo non sono in grado di mettere in discussione radicale la Modernità, perché categorie di destra e di sinistra della Modernità sono nate, nella Modernità si sono affermate, e quindi non possono recidere le proprie radici anche se tutti vedono che sono già marce e che, se non si cambia rapidamente direzione, l’albero cadrà da solo.








Fonte: www.ilfattoquotidiano.it




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