mercoledì 1 febbraio 2012

La crisi vista dai giovani di Benito Melchionna, magistrato e scrittore

Con un folto gruppo di giovani di Ponte (Bn) abbiamo partecipato ad un interessante convegno a CASTEL BARONIA (Av) sul tema "LA CRISI VISTA DAI GIOVANI" con relativa presentazione di una tesi del Dott. Prof. Benito Melchionna, magistrato e scrittore , già Procuratore della Repubblica. Vi riportiamo il primo capitolo dell'opera, seguiranno gli altri. Ci auguriamo che sopratutto i giovani possano trovarne occasione di studio ed approfondimento e che queto testo possa essere utile al vostro dibattito.

 1 - Le nuove generazioni di fronte alla crisi

Un abisso di anni corre tra un bambino
che sognava a colori in un mondo in bianco e nero,
e un bambino di oggi che ha smesso di ridere
a otto anni in un mondo senza pudori.

(da Sergio Zavoli, “Il ragazzo che io fui”, 2011)

Il 45° Rapporto del CENSIS, presentato il 2 dicembre 2011, fotografa
la situazione sociale dell’Italia come un paese “fragile”, disaggregato e
“prigioniero dello strapotere finanziario”.
Più in generale, il documento rileva che i mercati globali hanno
progressivamente accentuato la distribuzione della ricchezza verso l’alto
e la concentrazione del potere in poche mani.
Fenomeni questi ritenuti in grado di causare in ogni parte del mondo
l’indebolimento delle istituzioni democratiche e il disfacimento del
tradizionale patto economico-sociale.
E’ tuttavia possibile osservare che, in linea di principio, la globalizzazione,
quando non sia contaminata dalla esclusiva logica di mercato, può essere
considerata un vantaggio, poiché aiuta gli uomini a capire di avere ormai
un destino comune.
Il citato Rapporto evidenzia inoltre che la grave stagnazione economica
in atto colpisce “come una scure” soprattutto la generazione degli
under-30. Infatti, il 40% degli oltre 2 milioni di disoccupati in Italia ha
meno di trent’anni.
Di fronte alla crisi del lavoro, alla caduta dell’occupazione e dei consumi
si diffonde dunque un sentimento di stanchezza collettiva, ampliato
dalla prospettiva di un futuro incerto, segnato dalla precarietà e dalla
sfiducia in una ripresa che si profila lontana all’orizzonte.
Le nuove generazioni, pur avendo una vaga nozione solo documentaria e
un po’ romanzata delle terribili angustie e della pena del vivere sopportate
dai loro nonni, che disponevano di poco o niente, percepiscono
comunque la paura di un ritorno all’antica povertà. E temono perciò che
possa arrivare presto una fase di recessione acuta, che spazzi via i modi
e le mode dell’agiatezza, già consentita da una ricchezza illusoriamente
ritenuta per sempre.
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Ma è un bel dire, da parte di qualche ispirato nostalgico del bel tempo
antico – in linea con la manzoniana “provvida sventura” e con la funzione
salvifica della sofferenza – che la povertà, intesa come liberazione dal
superfluo e misura del necessario, è in fondo la “madre della virtù”.
Come forse è anche poco interessante per i giovani ricordare Socrate
che, camminando tra le bancarelle del mercato ricolme di oggetti,
esclamava divertito: “Quante belle merci, che non mi servono!”.
Ad ogni modo, dinanzi a scenari assai problematici e preoccupanti, le
manifestazioni di piazza, che talvolta trascendono in inammissibili atti
di teppismo e addirittura di violenza insurrezionale, sono espressione
del grande disagio e della giusta indignazione dei giovani.
Queste proteste si indirizzano in particolare a contestare le successive
“manovre” di politica economica, a buon diritto considerate confuse, di
facciata e comunque non risolutive.
Sta di fatto che le iniziative finora intraprese si limitano a imporre misure
fiscali “lacrime e sangue”, senza essere associate a strategie strutturali di
lungo respiro. Istintivamente perciò i giovani avvertono che manca un
progetto credibile e coerente per un effettivo risanamento. Che sia in
grado di favorire una “crescita” non solo di tipo mercantile e inquinata
dalla corruzione, ma equa e solidale a beneficio, in particolare, delle
classi sociali svantaggiate.
Si deve però prendere atto che le dimostrazioni popolari degli
“indignados” non riescono purtroppo a trovare il dovuto ascolto presso
le diverse rappresentanze politiche e sociali.
La scarsa attenzione da parte del potere costituito deriva probabilmente
dal fatto che tali manifestazioni non sono sostenute da motivazioni
profonde, legate a condizioni di fame e/o a sete di libertà. Come, ad
esempio, è dato riscontrare nelle cruente (e probabilmente non risolutive)
rivoluzioni di piazza della cosiddetta “primavera araba”.
La politica, peraltro, da sempre bloccata nella palude degli interessi
personali, dei privilegi di “casta” e delle risse partigiane, non offre
certamente di sé una immagine limpida.
Dall’altra parte, neppure la società civile nel suo insieme, a cominciare
dalle sue articolazioni fondamentali quali la scuola e la famiglia, sembra
a sua volta troppo attrezzata e sollecita nel dare attenzione al mondo
giovanile come investimento essenziale per il futuro.

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