151 anni dal falso “plebiscito” |
Per 150 anni il “plebiscito” è stato utilizzato per dimostrare la partecipazione e il consenso dei meridionali verso l’Italia unita: il vero cuore del problema. Far passare, infatti, la verità storica (la falsità di quelle votazioni e il dissenso di tutto il Sud), avrebbe minato alle basi la leggenda “risorgimentalistica”. Bisognava sancire in maniera “legittima”, allora, la fine del Regno e l’adesione delle popolazioni alla nuova Italia. Il 21 ottobre del 1860 si realizzò un plebiscito che quasi tutti i testimoni del tempo definirono “una farsa”. Ed è significativo e amaro constatare che ancora oggi, nonostante la quantità e l’obiettività delle testimonianze, la storiografia ufficiale riconosce quelle votazioni come serie e attendibili.
Votarono meno di due meridionali su dieci e gli “annessionisti” vinsero con il 99,9% dei voti; votarono “il Dittatore, il Prodittatore, i garibaldini d’ogni nazione e lingua, stranieri quanti ne vollero venire, giovincelli imberbi, le donne, la Sangiovannara”; i camorristi, con cinquantamila garibaldini, controllavano seggi e urne e non era poco se si considera che il voto era palese (con un’urna per il sì e una per il no); decine di paesi erano ancora in mano ai borbonici e in molti centri non si votò per nulla; migliaia di cittadini erano in prigione; a Caserta 51 ufficiali neanche tutti presenti si trovarono ad aver dato 167 voti (P. Calà Ulloa). L’ammiraglio inglese Mundy ci ha lasciato probabilmente il giudizio più corretto: “Secondo me un plebiscito a suffragio universale regolato da tali formalità non può essere ritenuto veridica manifestazione dei reali sentimenti di un paese”. “A questo modo si compiva la vendita di un popolo come fatto si sarebbe di una turba di schiavi in un bazar d’Africa o d’Oriente. Si dissero 1,313,376 i voti favorevoli fu mendacio; si dissero 10,312 i dissenzienti e fu mendacio; di voti negativi non vi fu neppure un solo perché nessuno avrebbe osato di emetterlo [...] ma qual magistrato ne attestava la veracità? Lo scrutinio di quei voti fu fatto da quella stessa suprema corte di giustizia che si era affrettata a giurar fedeltà all’invasore...”. La piazza più grande e famosa di Napoli (l’antico Largo di Palazzo) è stata intitolata a questo plebiscito, a perenne memoria del primo esempio di broglio elettorale italiano. Quello stesso 21 ottobre il generale Cialdini in un telegramma da Isernia al governatore del Molise scriveva: “Faccia pubblicare che fucilo tutti i paesani armati che piglio [...]. Oggi ho già cominciato”. Iniziarono così la storia del cosiddetto “brigantaggio” e del più grande massacro della storia del Sud. Altro che “plebiscito”…
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