venerdì 16 dicembre 2011

La resurrezione meridionale? Basta volerla


’Giù al Sud’, l’orazione civile di Pino Aprile contro il Sacco del Mezzogiorno
Terrona nacqui; Terrona mi sento: ma, mi illudo, nel senso più alto; rivendico le mie radici quale erede di quella raffinata civiltà della Magna Graecia che ha lasciato le stigmate di un innegabile imprinting culturale. (Altro che il gratuito e incolto scherno dell’Avvocato...)
Per cui, quando lo straordinario “tribuno della plebe” (ed anche qui, preciso, nel senso più alto) Pino Aprile pubblicò il suo fortunato pamphlet “Terroni” – un successo editoriale che la storia dell’editoria italiana nel campo della saggistica registra fra i suoi record – ne scrissi a valanghe.
Talmente a valanghe che, honoris causa, relazionai a due presentazioni delle centinaia a cui ha presenziato l’Autore: a Scafati (e giocavo in semi-casa terronica) ed a Pino Torinese, (su invito del Circolo dei Lettori di Torino), ovvero “in terra infidelium”, dove trovammo un pubblico altrettanto convinto che uno “sgarro” gravissimo fosse stato fatto a quello Stato sovrano annesso d’emblée.
Non vi sto qui a copia-incollare i testi dei miei interventi: di solito parlo, come si suol dire, a braccio ma non mi fidavo della mia memoria; erano talmente tante le sollecitazioni che avevo colto nell’opera che ero terrorizzata di dimenticarne qualcuna.
Che esagerazione, terrorizzata! Ma quando una si trova di fronte un unicum cosi articolato e denso di testimonianze, documentazioni, stimoli sente, dentro di sé, l’esigenza di diffondere più che può il racconto di come siano andate davvero le cose, dietro il paravento della storia scritta dai vincitori. Dunque, parziale; lacunosa; reticente; piena di punti oscuri; VERGOGNOSA.
Inoltre, mi trovavo davanti un libro che concentrava decine di anni in cui Aprile aveva raccolto quanto incontrava sul suo cammino riguardante il Sacco del Sud.
Dunque, era mio dovere avere altrettanta attenzione ad ogni sfumatura, pur nell’inevitabile sintesi della pubblica presentazione.
Oggi, eguali riflessione e analisi spettano al sequel di “Terroni”, quel “Giù al Sud – Perché i terroni salveranno l’Italia” (Piemme), che già reca in sé i semi del successo. Visto/comprato. So resistere a tutto, tranne che alla tentazione di un libro, soprattutto se sono intimamente convinta che non mi deluderà.
Che vi troverò… domande, risposte, ulteriori motivazioni a leggere dietro le quinte della storia ma anche della cronaca. Che mi spiegheranno che la “Cricca” non è solo quella dei sodali alleatisi ad hoc per emungere il possibile dalle risorse destinate a soccorrere i terremotati de L’Aquila, ma è stata, a formazione variabile per la caducità della condizione umana, spalmata nei tempo, nell’arco di 150 anni, per depredare la parte “debole” del Paese, tenuta volutamente sotto il tallone. Scrivo questo e sembra un volantino sovversivo. Ma sono i fatti ad essere sovversivi, però all’incontrario rispetto a quel che si pensa. Perché sovvertire significa sradicare un qualcosa, in senso deteriore. E non è stato sovversivo il disegno, recidivo e continuato (ah, quella bella laurea in Giurisprudenza all’Università “Federico II” di Napoli, considerata culla di straordinari giuristi, che mi dà le parole per dirlo!) di svuotare di ricchezza il Mezzogiorno, di troncarne ogni potenzialità per poi rinfacciargli la sudditanza, tentando di renderla sempre più lucrosa per se stessi?
“Giù al Sud” continua il discorso di “Terroni”, lo allarga, lo approfondisce, ipotizza scenari e diffonde esiti di leggi (il mitico “Federalismo fiscale”), volte a dare il colpo di grazia definitivo ad un Mezzogiorno privato di tutto, persino della “dignità di stampa” dei suoi poeti più o meno contemporanei e dello studio dei loro versi – che non hanno nulla da invidiare a quelli di altri cantori dell’anima, nati a latitudini più settentrionali -.
Nel contempo, il libro è anche un corposo “diario di viaggio” (470 pagine) di una scoperta ulteriore del Sud che Aprile ha fatto presentando, in Italia ed all’estero, il suo “Terroni”, viaggio che gli ha consentito di raccogliere moltissimi altri tasselli a completamento di quanto già appreso da documenti, archivi, libri anche coevi alla cosiddetta Unità d’Italia. L’affresco che ne scaturisce è molto complesso. Perché ci conduce fra i fiori del deserto (dell’apparente deserto) che stanno proliferando quasi per autogemmazione e traendo nutrimento da quel DNA forte di una cultura antica che era solo rimasta sottotraccia, non s’era dissolta. Proprio in quella Scafati dove avvenne la presentazione del primo libro, grazie ad un’Amministrazione Comunale dinamica che supporta lo sforzo culturale della Biblioteca “Francesco Morlicchio”, c’è una delle tante testimonianze (chiusa, naturalmente) del tessuto produttivo che seppe costruire il sistema manifatturiero competitivo, ricchezza del Regno borbonico. Lo stabilimento delle Cotoniere lo impiantarono degli Svizzeri, nei primi decenni dell’800, volendo sfuggire alla povertà dei loro luoghi natii. Dunque, s’immigrava, non s’emigrava; e si creava valore aggiunto: così come a San Leucio, comunità da protosocialismo utopistico voluta dal Re – sarebbe piaciuta a Proudhon, a Fourier, a Saint Simon – si sperimentava il nido aziendale, l’assistenza sanitaria alle maestranze, la pensione di anzianità ed altre misure di welfare che sarebbero state metabolizzate dallo Stato almeno 130 anni dopo (e non sotto un regno Savoia). Ed a Pagani (sei chilometri da Scafati. Appena uno dalla “mia” Nocera Inferiore sprecona delle sue potenzialità) non trovò l’ideale contesto produttivo un tal Francesco Cirio, di nascita piemontese? Mi devo trattenere, perché sono tanti gli esempi che potrei sottoscrivere accanto all’appassionata Catilinaria che Pino Aprile ha messo su carta, ma che noi del Sud ci sentiamo, - sia pure senza tanta dovizia di fatti e particolari – tatuati nell’anima. Ipotizza, l’Autore un disegno di sganciamento del Sud “zavorra” ad opera di quell’incostituzionale forza politica che è nel sistema, ma si propone come mission di scardinarlo, dissolvendone l’Unità. Era già uscito il libro quando, rivelandosi Aprile quasi un profeta, il padre del Trota ha biascicato un fumoso progetto che prende a modello la Cecoslovacchia, divisasi dopo l’implosione dell’Impero sovietico. Tante cose noi italiani le accogliamo senza rifletterne le conseguenze, ma come esibizione folkoristica; forse anche questa. Io la vedo come una minaccia seria; anzi, serissima. Tutti, e non solo al Sud, devono decidere se praticano o subiscono l’Unità. Ora, forse proprio perché si stanno festeggiando i 150 anni. L’ironia dissacrante e amara dell’Autore condisce i paradossi che narra. Che sono talmente macroscopici, incredibili che solo leggendoli messi in fila nelle pagine di “Giù al Sud” si riesce a valutarli nella loro enormità. Io l’ho fatto, ma, per conflitto d’interessi e legitima suspicione (sono laureata in Giurisprudenza a Napoli io, con 110 e lode; mica uno straccio di carta come la Gelmini – faccio con affetto il verso a Pino), perché conosco l’Autore da almeno 25 anni e sono meridionale, lascerei il campo del giudice a chi è nato da Arezzo in su. PS: due le mie dimenticanze, che non vorrei lasciar taciute.
La prima: l’estensione del libro è avvenuta in costanza di Governo Berlusconi, esecutivo dove la Lega spadroneggiava e batteva i pugni sul tavolo. Ora il neo Governo tecnico, sia pure, nella sua composizione, ricco di tecnici del Nord, avrebbe dimostrato una certa apertura al discorso del riequilibrio fra Nord e Sud, varando un nuovo Ministero, sulla Coesione Territoriale (naturalmente, senza portafoglio…). Il bastone del comando l’ha avuto Fabrizio Barca. Mai nome fu più presago. Ne abbiamo bisogno per mantenerci a galla e, magari, arrivare in porto; per esempio nell’assegnazione dei Fondi europei scippatici da Tremonti.
Altra dimenticanza: vi invito a leggere i capitoli sul terremoto di Messina. Ne sono rimasta sconvolta. La descrizione delle esecuzioni sommarie come sciacalli a poverini rimasti a smuovere le macerie per salvare i sepolti vivi o tentare di recuperare cose proprie; il racconto della proposta di cannoneggiare le macerie, compreso chi c’era sotto magari sopravvissuto, per togliersi l’incomodo dei soccorsi; le ruberie delle donazioni; gli sciacallaggi ad opera dei soccorritori militari italiani mi hanno agghiacciata.

FONTE: lindro.it

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