venerdì 28 ottobre 2011

Garibaldi si pentì di aver consegnato il Regno delle Sicilie ai Savoia

In questi giorni in cui ricorre il 150° anniversario dell’invasione garibaldina della Sicilia, ritengo interessante, quale elemento di comune riflessione, riproporre un aspetto politico e umano della vicenda unitaria, non molto evidenziato da buona parte della storiografia, ovvero il palese pentimento di Garibaldi per aver consegnato il Regno delle due Sicilie alla Dinastia dei Savoia.

 Ritengo inoltre molto interessante ed opportuno, nonché equo, dare la parola al protagonista della vicenda ed ascoltare dalla sua voce, quale fu la sua opinione sull’opera che aveva portato a termine todo modo.

 Non sappiamo quale sia l’indice di sincerità di Garibaldi quando scrive dei fatti militari, poiché gli scritti del Generale sono spesso romanzati e reticenti, specialmente sui punti relativi agli aiuti internazionali ed alle questioni attinenti al ruolo della massoneria, e non solo.

 Ma nel caso in esame il pentimento di Garibaldi sembra sincero quanto inserito in un sistema strettamente logico, anche perché non ha nulla da guadagnare, al contrario assume con questi scritti una posizione invisa al Governo, al Parlamento ed alla Monarchia ed infine pericolosa.

 Non va infatti dimenticato che il Governo sardo, e poi quello italiano di Vittorio Emanuele, non furono mai teneri col Generale ed in una lettera a Napoleone III, del 19 ottobre 1867 (Il guerrigliero di Nizza aveva appena servito il Re nella terza guerra di indipendenza) così si esprimeva: “Garibaldi è stato arrestato due volte contro le nostre leggi e lo sarebbe stato una terza, senza la crisi ministeriale”.

 La critica alla Corona e l’autocritica che esamineremo sono esplicite ed a tratti ingenue, poiché risulta evidente che Garibaldi con queste dichiarazioni, si mette da solo sotto una pessima luce ed è cosciente di fare infine la figura dell’utile idiota, nelle mani di Cavour e Vittorio Emanuele, come da taluni venne indicato.

 Il pentimento è un sentimento positivo, specie quando è esito di piena coscienza delle conseguenze delle nostre azioni, ma questo di per se non è sufficiente a riabilitare chi avrebbe dovuto, almeno fin dal 1848, conoscere le idee politiche e soprattutto gli uomini al servizio dei quali si poneva.

 A chi conduce gli eserciti, a chi conquista i regni terreni concimandoli col sangue e poi li regala, non è perdonabile l’errore sul destinatario del dono.

Garibaldi sostanzialmente ripudia la sua stessa malfatta creatura ed il patrigno di questa, e paradossalmente diviene il principale critico degli effetti dell’unità italiana nel Mezzogiorno: comprende forse prima di ogni altro, che la questione meridionale è nata con la sua impresa realizzata in modo improvvido, intempestivo ed inadeguato.

Non sono stati sufficienti 150 anni per correggere i gravissimi errori politici di impostazione, dolosamente commessi nel 1860.

 Monarchia, Fascismo e Repubblica non hanno riparato quei danni ed oggi la questione meridionale è più grave che allora.

 FONTE italiainformazioni.it

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