sabato 26 maggio 2012

Biblioteca Girolamini Na - La corruzione viene da lontano

Margherita d’Ambrosio
Quando in Italia si parla di corruzione, viene immediato a tutti pensare alle “tangenti” ed al giro di appalti e di speculazioni di cui le pagine della cronaca italiana trasudano ogni giorno. Viene da pensare ad affari loschi, all’universo dei politici prezzolati ed entrati in politica per perseguire il proprio tornaconto. Alle cosche mafiose, ai camorristi, alla ‘Ndrangheta ed alla Sacra Corona Unita, tristemente assurta agli onori delle cronache di questi ultimi giorni. Viene da pensare alle inefficienze della pubblica amministrazione, agli enormi sprechi di denaro pubblico, alle opere faraoniche incompiute ed a quelle che mai si faranno, come il Ponte sullo Stretto e che comporteranno altro sperpero di denaro pubblico ed altri oneri a carico dei contribuenti per le clausole risolutive dei contratti. Viene da pensare ai faccendieri, agli immobiliaristi, agli intermediari, ai consulenti, ai banchieri, alla pletora di portaborse, segretari, buffoni, giullari di corte e ballerine ed a quanti a vario titolo sono al seguito del potente di turno e beneficiano di privilegi acquisiti non per proprio merito, ma per una più o meno millantata “conoscenza” con l’uomo del momento. Viene da pensare alle nomine dei primari negli ospedali, quasi mai per merito e sempre più spesso dovute alla militanza in un partito. Viene da pensare ai fannulloni del Ministro Brunetta, all’universo dei dipendenti pubblici sfaticati, indolenti, sempre pronti a frodare lo Stato ed a rubare lo stipendio. E così via.

Ed invece no. Non c’è solo questo tipo di corruzione.
In Italia, il nostro Paese, la nostra Patria, il “giardin de lo imperio” di dantesca memoria, il fenomeno della corruzione assume miriadi di sfaccettature e talvolta si connota semplicemente con la nomina di “dirigenti”, di uomini risolutivi, di deus ex-machina individuati per i loro curricola ed inviati sul territorio nella salvifica missione di rimetter a posto gli scempi prodotti da intere schiere di lavoratori totalmente inadeguati. Regola che vale ancor più per un Meridione martoriato, sprecone e lavativo che contribuisce in bassa percentuale alla formazione del Pil del Paese e produce un aggravio di tasse per i cittadini del Nord.
L’antica biblioteca dei Girolamini in via Duomo, nel centro antico di Napoli.
Accadde così che un giorno, nell’intento di riparare l’ennesimo malfatto nel Meridione, venne nominato il Dott. Marino Massimo De Caro quale direttore del Complesso Monumentale della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, che verteva in stato di degrado ed abbandono dagli anni 80.
La Biblioteca dei Girolamini fu aperta al pubblico nel 1586 e custodisce circa 160.000 testi antichi, tra cui incunaboli, cinquecentine, manoscritti rarissimi, l’intera collezione privata di Giuseppe Valletta, il Fondo Agostino Gervasio, il Fondo Filippino e le opere di Giambattista Vico, donate dal grande filoso ai Padri Oratoriani. Una collezione antica rarissima, di valore inestimabile e totalmente abbandonata ed incustodita, al punto da non poter identificare con certezza a quanto ammonti il patrimonio di libri sottratti negli anni e negli ultimi mesi, dalla nomina di cotanto genio.
Quello che è certo è che pochi giorni fa, in un deposito di proprietà dell’esimio Dott. De Caro, nei pressi di Verona, sono stati ritrovati scatoloni con migliaia di libri, di cui 279 provenienti senza ombra di dubbio dalla Biblioteca dei Girolamini di Napoli.
Oggi si scopre che i millantati titoli del Dott. De Caro non esistono, non sono mai esistiti e pare sia sì insignito di una laurea, ma ottenuta in Sudamerica dall’Universidad Abierta Interamericana, ma dopo donazione di alcune opere di Galileo Galilei e di un presunto pezzo di meteorite del deserto. Anche questi doni trafugati, vien da chiedersi?
Ma chi è il Dott. Marino Massimo De Caro, oggi arrestato dalla Procura di Napoli con l’accusa di furto di intere collezioni di libri e suppellettili dell’antico oratorio partenopeo?
Il Dottore senza titoli è un amico intimo dell’Onorevole Dell’Utri, già nominato consulente esperto dal Ministro Galan per le tematiche più varie. Il suo immenso sapere spazia dalla cultura all’editoria, dall’esperienza consolare alla costruzione di impianti di produzione di energia dalle fonti rinnovabili.
Un genio incontrastato, insomma, un asso, un jolly nella manica, l’uomo chiave per la risoluzione di problemi difficili. L’uomo chiave invischiato in precedenti accuse di ricettazione, che avevano impedito la sua nomina a Console Onorario del Congo e riconfermato per la sua insostituibile competenza dal Ministro Ornaghi.
Un illuminato, piombato nella Terronia ed in quel di Napoli, città emblema del degrado e della corruzione dilagante, nonché dell’incompetenza con il preciso intento di dilapidare un patrimonio librario inestimabile e che solo per un soffio non è approdato a far bella mostra di sé nelle librerie private dei collezionisti di mezzo mondo. Città in cui è presente un’Università degli Studi Filosofici delle più antiche e prestigiose d’Italia, nota in tutto il mondo e nella quale sicuramente non era possibile reperire risorse umane locali più che qualificate ed in grado di poter riqualificare tale tesoro e riportarlo agli splendori ed ai fasti dei tempi che furono.
Si è preferito scegliere un uomo la cui intenzione era quella di scavare le povere ossa di Giambattista Vico. Voleva vendere all’Estero anche quelle come preziosa reliquia?
Ai posteri l’ardua sentenza.

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