martedì 7 febbraio 2012

IL BRIGANTAGGIO A LETINO E A PONTELANDOLFO-CASALDUNI

Prima dell’emigrazione italiana di fine 1800, che interessò il settentrione e in misura minore anche il Mezzogiorno, vi fu il fenomeno diffuso del brigantaggio meridionale. L’evoluzione della nazione italiana, dove si parla la medesima lingua da 151 anni (da 145 anni nel Veneto, solo 84 anni nel Trentino A.A. e Trieste) ha avuto alti e bassi.
Il brigantaggio post unitario ha segnato un’epoca di ribellismo meridionale, guidato da monarchici accorti a tutelare i propri interessi, messi in bilico da una nuova classe dirigente proveniente soprattutto dalle professioni liberali. Esistono scuole di pensiero diverse nell’interpretare il fenomeno del brigantaggio post unitario. Il famoso letterato e nobile, in decadenza, G. Verga, nella novella “La libertà” dà forse la visione delle cause basilari del ribellismo meridionale post unitario. Il latifondo borbonico da tutti, neoborbonici esclusi, viene vista come causa basilare dell’impoverimento popolare meridionale, al settentrione il nobile era già divenuto industriale agrario, sia pure paternalista. I Meridionalisti piagnoni, che sono la maggioranza, purtroppo, ancora oggi inneggiano ai briganti post unitari e partigiani dei Borboni. La Lega Nord fa il tifo per il Meridionalismo piagnone e sposa la tesi dell’invasione piemontese del Lombardo-Veneto e del Mezzogiorno. In Provincia di Vicenza la Lega ha molto consenso in Provincia, meno in città. In Regione il nuovo statuto, approvato all’unanimità, cita all’art. 1 Il Veneto è Regione Autonoma…. Il Commissario di Governo sta chiedendo chiarimenti in merito. Ciò premesso si precisa che intorno al Matese e su di esso i meridionalisti piagnoni fanno a gara per promuovere, con i soldi del contribuente (anche piemontese che paga al cento per cento il canone della TV, mentre a Napoli solo la metà, come affermato in TV, a “Porta a Porta” di fine gennaio 2011) feste in onore dell’epopea del brigantaggio. A San Gregorio Matese (CE) con la “notte dei briganti” pare che inneggino anche al capobanda, Cosimo Giordano, pastore di Cerreto S. ed ex caporale dello sbandato esercito borbonico, che ammazzò e incitò a ribellarsi sul Matese alto e basso come sul pedemontano orientale, scatenando la reazione di Cialdini a Pontelandolfo, dopo che 43 soldati italiani furono barbaramente uccisi nei dintorni. A Letino, invece, si dà spazio ad un tipo più raffinato di ribellismo meridionale, sia pure in un’ottica diversa e più politichese, con la lapide municipale agli internazionalisti anarchici Cafiero e Malatesta del 1877. Altri Merdionalisti, del calibro di Carlo Maranelli e di Beniamino Finocchiaro, ma anche il “nostro” medico scrittore matesino, R. Di Lello, vedono il fenomeno del brigantaggio come un misto di restaurazione borbonica, di delinquenza comune e di politica nazionale di quel periodo: 1860-‘70. Di Lello, in particolare, vede anche nel brigantaggio la ricerca di”una nuova dimensione della dignità umana”. Il piemontese conte di Cavour, artefice dell’Italia unita nel marzo 1861 con il primo Parlamento a Torino e sotto l’egida della monarchia dei Savoia, disse: ”L’Italia del settentrione è fatta. Non vi sono più lombardi né piemontesi né toscani ne romagnoli; noi siamo tutti italiani. Ma vi sono ancora i napoletani. V’è molta corruzione nel loro paese. Dobbiamo moralizzare, educare l’infanzia, la gioventù. Io li governerò e mostrerò cosa possono fare di quel paese 10 anni di libertà”. A Letino il brigantaggio non fece adepti tra gli indigeni e fu importato da paesi viciniori, dove furono più eclatanti le gesta efferate come sul Matese beneventano. Ma anche a Letino però l’alone leggendario del brigantaggio è rimasto nei racconti tramandatesi da padre in figlio. Lo scrivente ricorda i racconti del padre letinese sui briganti della grotta di Casamari alle Secine, che nascosero il tesoro dopo aver ucciso uno di loro per fare da guardia. Pare che anche una letinese sia stata in compagnia periodica dei briganti della seconda metà del 1800. Lassù sul Matese montano più alto, le tradizioni e i racconti epici hanno avuto maggiore presa nella fantasia dei letinesi abbastanza creduloni e poco scolarizzati(oggi i giovani sono tutti scolarizzati e molti anche diplomati e con pochi laureati, dove però pare che domini una cultura inneggiante i briganti e gli anarchici Cafiero e Malatesta). Sui monti del Matese campano e molisano pullularono le bande di briganti che taglieggiavano i facoltosi liberali e mai i nobili locali come a Piedimonte d’Alife. Questa, cittadina del Sannio casertano, è stata per molti secoli segnata dalla casa nobiliare dei Gaetani. Tra questi blasonati vi è stato anche un Duca nel castello ancora esistente localmente nel rione San Giovanni, che periodicamente ha bisogno di restauri e, in tempi di vacche magre, non è facile avere altro denaro del contribuente italiano con la collaborazione di politicanti e faccendieri campani, che nel passato, utilizzarono anche la mania filoborbonica di qualche filosofo e piedimontese DOC e DOP! La sensibile studiosa molisana, nativa di Macchiagodena(IS), Adalgisa dell’Omo, scrive in un suo recente saggio “Storie all’ombra del Matese” che: “La causa che determinò l’insorgere del fenomeno del brigantaggio fu senza dubbio la sperequazione economica atavica, in un contesto sociale in cui solo pochissime famiglie possedevano enormi latifondi, addirittura feudi, e si avvantaggiavano dei proventi dell’agricoltura e della pastorizia, mentre tutto il resto della popolazione non possedeva assolutamente nulla, viveva in lerce casupole in proscuità con gli animali ed in casi estremi era costretta a vendere perfino i figli! A causa di questo stato di cose, quasi sempre come reazione a torti subiti, nacque il brigantaggio. Nel 1860, appena dopo l’unità d’Italia, le speranze del popolo furono di nuovo frustrate, perché nulla cambiò: la terra non venne distribuita ai poveri, ma furono inasprite le tasse e resa obbligatoria la leva. I borbonici dal canto loro, soffiavano sul foco della ribellione nella speranza di una restaurazione. L’annessione dello Stato pontificio al resto d’Italia determinò una reazione forte anche da parte del Clero, che si vide spodestato dei beni e dei privilegi di cui fino ad allora aveva goduto. Molti preti, pur non partecipando attivamente alla lotta, ne furono i fiancheggiatori”. La citata scrittrice dell’Omo sostiene, inoltre, che “Né la destra storica, né la sinistra storica ed i partiti odierni hanno risolto la Questione Meridionale”. Altri studiosi, dalle colonne di questo mass media, scrivono: ”Il Brigantaggio post unitario più che una conseguenza di una colonizzazione nordista a danno del Mezzogiorno d’Italia, sembrerebbe originato da un capriccio delle monarchie Sabauda e Borbonica, imparentate tra di loro, che strumentalizzarono e politicizzarono il fenomeno per proprio tornaconto. A farne le spese, come spesso accade, furono i più poveri, i contadini, ma anche chi aveva creduto nell’Italia Repubblicana e in Garibaldi. I contadini già con i Borbone vivevano in una condizione di miseria, i Savoia li resero ancora più miseri privandoli dell’utilizzo delle terre demaniali, che finirono gradualmente nelle mani di ricchi signorotti e baroni. Furono privati di poter raccogliere la legna nei boschi, di poter pascolare i propri armenti, cose che prima facevano in tutta tranquillità. E fu guerra civile, con una repressione durissima durata per ben 10 lunghi anni che non risparmiò neanche donne, vecchi e bambini”. Sul Matese dal 1861 al 1877 (con la nota Banda del Matese degli anarchici capeggiati dagli internazionalisti Cafiero e Malatesta, che a Letino e Gallo M. bruciarono i registri sulla tassa del macinato. A Letino il parroco locale, Raffaele Fortini, li paragonò a “inviati del Signore”) ci furono bande di briganti con a capo i seguenti cognomi: Albanese, Di Lello, Fuoco, Giordano, Guerra, Pace, Santaniello, ecc. Per fronteggiare i briganti del Matese il generale Pallavicini aveva un comando a Capua oltre alle tenenze dei carabinieri di Isernia, Cerreto S. e Piedimonte d’Alife (con un battaglione di 600 uomini), oltre alle Guardie Nazionali in tutti i Comuni come anche a Letino sull’altissimo Matese, dove il 16 settembre 1861, dopo lettura di sentenza, furono fucilati 5 militi della Guardia Nazionale ad opera di briganti capeggiati da Samuele Cimino e Domenico A. Cecchino di Roccamandolfi(IS). Furono fucilati in piazza, davanti la chiesa di San Giovanni Battista, in un epoca in cui i poveri pastori più che contadini letinesi dovevano ottemperare a disposizioni ferree di uscire la mattina con poco cibo per evitare di darlo ai banditi. Alla mai sopita disputa di favorevoli e contrari ai Borboni si inseriscono politici e cultori partigiani dei Borboni che scrivono saggi come ”Terroni”o animano ricorrenze varie come quella del Presidente Naz. dei Comitati delle Due Sicilie, movimento filoborbonico, che ha partecipato il 26/01 c.a. sulle falde del Matese orientale a Pontelandolfo(BN), allo scoprimento del Monumento in memoria delle Vittime dell’eccidio del 14/08/1861 consumato dall’Esercito italiano in quel paese e al paesetto vicino di Casalduni. Alla Cerimonia erano presenti: Autorità prov.li e locali e la folla, come sempre, assisteva…bevendo tutto? A Pontelandolfo dunque si onora la memoria della vittime per far conoscere gli eventi tragici di 151 anni or sono, allorché una colonna di Bersaglieri, forte di circa 900 uomini, assediò il paese e il vicino Casalduni, causando vittime civili inermi, obbedendo a direttive di E. Cialdini per contrastare il brigantaggio. Le scuse ufficiali dello Stato italiano, presentate il 14/08/2011 dal presidente del Comitato per le Celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, G. Amato, a nome del Presidente della Repubblica nonchè il Sindaco di Vicenza, venuto a Pontelandolfo in agosto 2011 a chieder scusa per il massacro commesso dal colonnello vicentino P. E. Negri. Il prof. sottile, G. Amato, e il Sindaco di Vicenza del PD sanno che a fronte di soli 7 briganti uccisi in una sparatoria a fuoco, furono uccisi inermi 43 soldati italiani da una banda di briganti con oltre 200 affiliati? L’Italia unita si ricorda dopo 150 anni, ma senza aizzare il sud contro il nord e viceversa! Sarà pubblicato a breve il romanzo storico “Il Brigante Repubblicano”, la storia di un giovane che l’Italia Unita lo fece prima brigante e poi emigrante. Tutti conoscono la Spedizione dei Mille, che si concluse nell’ottobre del 1861 con l’incontro tra G. Garibaldi e il Re Vittorio E. di Savoia nei pressi di Teano. Il protagonista Nicandro è un contadino che aspetta l’arrivo al suo paese di Garibaldi che marciava verso Teano per incontrare il Re Vittorio E. II. Sperava che gli venisse assegnata la terra da coltivare usurpata da un barone; ben presto si rende conto che la sua era solo un’illusione. Scacciato dal barone, ripara sui monti dove si imbatte in una banda di briganti, attraverso la quale conosce personaggi dal calibro di C. Crocco e L. Alonzi. Chissà se l’Autore parteggia per il Meridionalimo piagnone? Si spera di no, ma le premesse ci sono perché associa l’emigrazione al banditismo precedente, altra reazione da sfatare col lume della ragione e non con le banalità!

FONTE: caserta24ore.it

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