La sensazione si è purtroppo rafforzata ascoltando giovedì la conferenza stampa del professor Mario Monti, nella quale la parola Meridione, Mezzogiorno, Sud (comunque la si voglia declinare) non è mai stata evocata, nemmeno per errore. Ma non di una svista dev'essersi trattato, quanto di una scelta ponderata dal presidente del Consiglio (milanese come Berlusconi) per evitare di scontentare le già irascibili contrade padane opportunamente vellicate da Umberto Bossi, dalla nuova comodissima postazione all'opposizione.
sabato 31 dicembre 2011
SUD CANCELLATO DALLA CARTINA
Testo del videomessaggio di auguri di Virman Cusenza, direttore responsabile del Mattino di Napoli, ai lettori del maggiore quotidiano del Mezzogiorno.
" Non ho le doti del vignettista e quindi non posso cavarmela con un folgorante tratto di penna che semplificherebbe il compito. Però un'immagine voglio offrirvela. Se dovessi tratteggiare il nostro Paese all'alba del 2012, nonché allo scadere dell'amaro centocinquantesimo compleanno dell'Unità d'Italia, lo disegnerei simile a certi scatti dal satellite: con lo Stivalone coperto per più di metà da nubi, soprattutto sotto la Linea Gotica, quasi a sfigurarne la sagoma. E qua e là qualche lembo a Mezzogiorno affiorante grazie ad un insperato squarcio di luce. Il Sud nella nostra fotografia-vignetta sembra essersi dissolto, svaporato.
venerdì 30 dicembre 2011
Per tutti coloro che pensano sia bello passeggiare con i pantaloni sotto il sedere !!
Questa tendenza è nata nelle carceri, negli Stati Uniti dove i prigionieri che erano disposti a fare sesso con altri prigionieri avevano bisogno di creare un segnale che sarebbe passato inosservato da parte delle guardie così da non subire conseguenze;
quindi mostrando parzialmente il loro sedere,dimostravano che erano disponibili ad essere penetrati da altri detenuti.
CLICCA SU "CONDIVIDI" SE VUOI MOSTRARE A COLORO CHE SI SENTONO ALLA MODA IL VERO SIGNIFICATO DEL JEANS A MEZZA CHIAPPA
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FONTE: condividimi.com
Lega Ladrona, il terribile ritratto dell’ex partito del Nord, fra razzismo e lottizzazioni
Massimo Donadi, capogruppo di Italia dei Valori alla Camera, ha realizzato un dossier sul partito della Lega Nord e tutte le sue contraddizioni, gli inganni, l’inutile propaganda anti-straniero, il sostegno pieno al regime del berlusconismo dal quale ha drenato poltrone e potere. Un’analisi completa e insieme sintetica, estremamente utile per comprendere l’impronta lasciata negli ultimi quindici anni dal partito di Bossi. Dalla fallimentare legge sul federalismo ai provvedimenti presi dagli amministratori locali contro gli immigrati e gli stranieri, che Donadi condensa in un elenco che lascia esterrefatti. Eccolo, in anteprima, come breve epitaffio al partito che doveva combattere Roma Ladrona ed ha finito per scrivere leggine inutili e a difendere gli interessi di B.
La vera storia della spedizione dei mille Come e perché l’Inghilterra decise la fine delle Due Sicilie
di Angelo Forgione
La spedizione garibaldina, per la storiografia ufficiale, ha il sapore di un’avventura epica quasi cinematografica, compiuta da soli mille uomini che salpano all’improvviso da nord e sbarcano a sud, combattono valorosamente e vincono più volte contro un esercito molto più numeroso, poi risalgono la penisola fino a giungere a Napoli, Capitale di un regno liberato da una tirannide oppressiva, e poi più su per dare agli italiani la nazione unita.
Troppo hollywoodiano per essere vero, e difatti non lo è. La spedizione non fu per niente improvvisa e spontanea ma ben architettata, studiata a tavolino nei minimi dettagli e pianificata dalle massonerie internazionali, quella britannica in testa, che sorressero il tutto con intrighi politici, contributi militari e cospicui finanziamenti coi quali furono comprati diversi uomini chiave dell’esercito borbonico al fine di spianare la strada a Garibaldi che agli inglesi non mancherà mai di dichiarare la sua gratitudine e amicizia.
I giornali dell’epoca, ma soprattutto gli archivi di Londra, Vienna, Roma, Torino e Milano e, naturalmente, Napoli forniscono documentazione utile a ricostruire il vero scenario di congiura internazionale che spazzò via il Regno delle Due Sicilie non certo per mano di mille prodi alla ventura animati da un ideale unitario.
Il Regno britannico, con la sua politica imperiale espansionistica che tanti danni ha fatto nel mondo e di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze (vedi conflitto israelo-palestinese), ebbe più di una ragione per promuovere la fine di quello napoletano e liberarsi di un soggetto politico-economico divenuto scomodo concorrente.
Innanzitutto furono i sempre più idilliaci rapporti tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio a generare l’astio di Londra. La massoneria inglese aveva come priorità politica la cancellazione delle monarchie cattoliche e la cattolica Napoli era ormai invisa alla protestante e massonica Londra che mirava alla cancellazione del potere papale. I Borbone costituivano principale ostacolo a questo obiettivo che coincideva con quello dei Savoia, anch’essi massoni, di impossessarsi dei fruttuosi possedimenti della Chiesa per risollevare le proprie casse. Massoni erano i politici britannici Lord Palmerston, primo ministro britannico, e Lord Gladstone, gran denigratore dei Borbone. E massoni erano pure Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Cavour.
In questo conflittuale scenario di potentati, la nazione Napoletana percorreva di suo una crescita esponenziale ed era già la terza potenza europea per sviluppo industriale come designato all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856. Un risultato frutto anche della politica di Ferdinando II che portò avanti una politica di sviluppo autonomo atto a spezzare le catene delle dipendenze straniere.
La flotta navale delle Due Sicilie costituiva poi un pericolo per la grande potenza navale inglese anche e soprattutto in funzione dell’apertura dei traffici con l’oriente nel Canale di Suez i cui scavi cominciarono proprio nel 1859, alla vigilia dell’avventura garibaldina.
L’integrazione del sistema marittimo con quello ferroviario, con la costruzione delle ferrovie nel meridione con cui le merci potessero viaggiare anche su ferro, insieme alla posizione d’assoluto vantaggio del Regno delle Due Sicilie nel Mediterraneo rispetto alla più lontana Gran Bretagna, fu motivo di timore per Londra che già non aveva tollerato gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo grazie ai quali la flotta sovietica aveva navigato serenamente nel Mediterraneo, avendo come basi d’appoggio proprio i porti delle Due Sicilie.
Proprio il controllo del Mediterraneo era una priorità per la “perfida Albione” che si era impossessata di Gibilterra e poi di Malta, e mirava ad avere il controllo della stessa Sicilia quale punto più strategico per gli accadimenti nel mediterraneo e in oriente. L’isola costituiva la sicurezza per l’indipendenza Napolitana e in mano agli stranieri ne avrebbe decretata certamente la fine, come fece notare Giovanni Aceto nel suo scritto “De la Sicilie et de ses rapports avec l’Angleterre”.
La presenza inglese in Sicilia era già ingombrante e imponeva coi cannoni a Napoli il remunerativo monopolio dello zolfo di cui l’isola era ricca per i quattro quinti della produzione mondiale; con lo zolfo, all’epoca, si produceva di tutto ed era una sorta di petrolio per quel mondo. E come per il petrolio oggi nei paesi mediorientali, così allora la Sicilia destava il grande interesse dei governi imperialisti.
I Borbone, in questo scenario, ebbero la colpa di non fare tesoro della lezione della Rivoluzione Francese, di quella Napoletana del 1799 e di quelle a seguire, di considerarsi insovvertibili in Italia e di non capire che il pericolo non era da individuare nella penisola ma più in la, che nemico era alle porte, anzi, proprio in casa. Il Regno di Napoli e quello d’Inghilterra erano infatti alleati solo mezzo secolo prima, ma in condizione di sfruttamento a favore del secondo per via dei considerevoli vantaggi commerciali che ne traeva in territorio duosiciliano. Fu l’opera di affrancamento e di progressiva riduzione di tali vantaggi da parte di Ferdinando II a rompere l’equilibrio e a suscitare le cospirazioni della Gran Bretagna che si rivelò così un vero e proprio cavallo di Troia. Per questo fu più comodo per gli inglesi “cambiare” l’amicizia ormai inimicizia con lo stato borbonico con un nuovo stato savoiardo alleato.
Questi furono i motivi principali che portarono l’Inghilterra a stravolgere gli equilibri della penisola italiana, propagandando idee sul nazionalismo dei popoli e denigrando i governi di Russia, Due Sicilie e Austria. La mente britannica armò il braccio piemontese per il quale il problema urgente era quello di evitare la bancarotta di stampo bellico accettando l’opportunità offertagli di invadere le Due Sicilie e portarne a casa il tesoro.
Un titolo sul “Times” dell’epoca, pubblicato già prima della morte di Ferdinando II, è foriero di ciò che sta per accadere e spiega l’interesse imperialistico inglese nelle vicende italiane. “Austria e Francia hanno un piede in Italia, e l’Inghilterra vuole entrarvi essa pure”.
Lo sbarco a Marsala e l’invasione del Regno delle Due Sicilie sono a tutti gli effetti un “gravissimo atto di pirateria internazionale”, compiuto ignorando tutte le norme di Diritto Internazionale, prima fra tutte quella che garantisce il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Il fatto che nessuna nazione straniera abbia mosso un dito mentre avveniva e si sviluppava fa capire quale sia stata la predeterminazione di un atto così grave.
Garibaldi è un burattino in mano a Vittorio Emanuele II Cavour, l’unico che può compiere questa invasione senza dichiarazione non essendo né un sovrano né un politico. E viene manovrato a dovere dal conte piemontese, dal Re di Sardegna e dai cospiratori inglesi, fin quando non diviene scomodo e arriva il momento di costringerlo a farsi da parte.
Di soldi, nel 1860, ne circolano davvero parecchi per l’operazione. Si parla di circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra, denaro investito per comprare il tradimento di chi serve allo scopo, ma anche armi, munizioni e navi. A Londra nasce il “Garibaldi Italian Fund Committee”, un fondo utile ad ingaggiare i mercenari che devono formare la “Legione Britannica”, uomini feroci che aiuteranno il Generale italiano nei combattimenti che verrano.
Garibaldi diviene un eroe in terra d’Albione con una popolarità alle stelle. Nascono i “Garibaldi’s gadgets”: ritratti, composizioni musicali, spille, profumi, cioccolatini, caramelle e biscotti, tutto utile a reperire fondi utili all’impresa in Italia.
In realtà, alla vigilia della spedizione dei mille, tutti sanno cosa sta per accadere, tranne la Corte e il Governo di Napoli ai quali “stranamente” non giungono mai quei telegrammi e quelle segnalazioni che vengono inviate dalle ambasciate internazionali. In Sicilia invece, ogni unità navale ha già ricevuto le coordinate di posizionamento nelle acque duosiciliane.
La traversata parte da Quarto il 5 Maggio 1860 a bordo della “Lombardo” e della “Piemonte”, due navi ufficialmente rubate alla società Rubattino ma in realtà fornite favorevolmente dall’interessato armatore genovese, amico di Cavour. Garibaldi non sa neanche quanta gente ha a bordo, non è una priorità far numero; se ne contano 1.089 e il Generale resta stupito per il numero oltre le sue stime. Sono persone col pedigree dei malavitosi e ne farà una raccapricciante descrizione lo stesso Garibaldi. Provengono da Milano, Brescia, Pavia, Venezia e più corposamente da Bergamo, perciò poi detta “città dei mille”. Ci sono anche alcuni napoletani, calabresi e siciliani, 89 per la precisione, proprio quelli sfrattati dalla toponomastica delle città italiane.
La rotta non è casuale ma già stabilita, come il luogo dello sbarco. Marsala non è la terra scorta all’orizzonte ma il luogo designato perché li c’è una vastissima comunità inglese coinvolta in grandi affari, tra cui la viticoltura.
Il 10 Maggio, alla vigilia dello sbarco, l’ammiragliato inglese a Londra dà l’ordine ai piroscafi bellici “Argus” e “Intrepid”, ancorati a Palermo, di portarsi a Marsala; ufficialmente per proteggere i sudditi inglesi ma in realtà con altri scopi. Ci arrivano infatti all’alba del giorno dopo e gettano l’ancora fuori a città col preciso compito di favorire l’entrata in rada delle navi piemontesi. Navi che arrivano alle 14 in punto, in pieno giorno, e questo dimostra quanta sicurezza avessero i rivoltosi che altrimenti avrebbero più verosimilmente scelto di sbarcare di notte.
L’approdo avviene proprio dirimpetto al Consolato inglese e alle fabbriche inglesi di vini “Ingham” e “Whoodhouse” con le spalle coperte dai piroscafi britannici che, con l’alibi della protezione delle fabbriche, ostacolano i colpi di granate dell’incrociatore napoletano “Stromboli”, giunto sul posto insieme al piroscafo “Capri” e la fregata a vela “Partenope”.
Le trattative che si intavolano fanno prendere ulteriore tempo ai garibaldini e sortiscono l’effetto sperato: I “mille” sbarcano sul molo. Ma sono in 776 perché i veri repubblicani, dopo aver saputo che si era andati a liberare la Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, si sono fatti sbarcare a Talamone, in terra toscana. Contemporaneamente sbarcano dall’Intrepid dei marinai inglesi anch’essi di rosso vestiti che si mischiano alle “camicie rosse”, in modo da impedire ai napoletani di sparare.
Napoli invia proteste ufficiali a Londra per la condotta dei due bastimenti inglesi ma a poco serve.Garibaldi e i suoi sbarcano nell’indifferenza dei marsalesi e la prima cosa che fanno è saccheggiare tutto ciò che è possibile.
Il 13 Maggio Garibaldi occupa Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unisce a lui con una banda di “picciotti”. Da qui si proclama “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 13 Maggio Garibaldi occupa Salemi, stavolta nell’entusiasmo perché il barone Sant’Anna, un uomo potente del posto, si unisce a lui con una banda di “picciotti”. Da qui si proclama “dittatore delle Due Sicilie” nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia”.
Il 15 Maggio è il giorno della storica battaglia di Calatafimi. I mille sono ora almeno il doppio; vi si uniscono “picciotti” siciliani, inglesi e marmaglie insorte, e sfidano i soldati borbonici al comando del Generale Landi. La storiografia ufficiale racconta di questo conflitto come di un miracolo dei garibaldini ma in realtà si tratta del risultato pilotato dallo stesso Generale borbonico, un corrotto accusato poi di tradimento.
I primi a far fuoco sono i “picciotti” che vengono decimati dai fucili dei soldati Napoletani.
Il Comandante borbonico Sforza, con i suoi circa 600 uomini, assalta i garibaldini rischiando la sua stessa vita e mentre il Generale Nino Bixio chiede a Garibaldi di ordinare la ritirata il Generale Landi, che già ha rifiutato rinforzi e munizioni a Sforza scongiurando lo sterminio delle “camicie rosse”, fa suonare le trombe in segno di ritirata. Garibaldi capisce che è il momento di colpire i borbonici in fuga e alle spalle, compiendo così il “miracolo” di Calatafimi. Una battaglia che avrebbe potuto chiudere sul nascere l’avanzata garibaldina se non fosse stato per la condotta di Landi che fu accusato di tradimento dallo stesso Re Francesco II e confinato sull’isola d’Ischia; non a torto perché poi un anno più tardi, l’ex generale di brigata dell’esercito borbonico e poi generale di corpo d’armata dell’esercito sabaudo in pensione, si presenta al Banco di Napoli per incassare una polizza di 14.000 ducati d’oro datagli dallo stesso Garibaldi ma scopre che sulla sua copia, palesemente falsificata, ci sono tre zeri di troppo. Landi, per questa delusione, è colpito da ictus e muore.
Garibaldi, ringalluzzito per l’insperata vittoria di Calatafimi, s’inoltra nel cuore della Sicilia mentre le navi inglesi, sempre più numerose, ne controllano le coste con movimenti frenetici. In realtà la flotta inglese segue in parallelo per mare l’avanzata delle camicie rosse su terra per garantire un’uscita di sicurezza.
Intanto sempre gli inglesi fanno arrivare in Sicilia corposi rinforzi, armi e danari per i rivoltosi e preziose informazioni da parte di altri traditori vendutisi all’invasore per fare del Sud una colonia. Le banche di Londra sono piene di depositi di cifre pagate come prezzo per ragguagli sulla dislocazione delle truppe borboniche e di suggerimenti dei generali corruttibili, così come di tante altre importantissime informazioni segrete.
Garibaldi entra a Palermo e poi arriva a Milazzo ormai rafforzato da uomini e armi moderne e l’esito della battaglia che li si combatte, a lui favorevole, é prevalentemente dovuto all’equipaggiamento individuale dei rivoltosi che hanno ricevuto in dotazione persino le carabine-revolver americane “Colt” e il fucile rigato inglese modello “Enfield ‘53”.
Quando l’eroe dei due mondi passa sul territorio peninsulare, le navi inglesi continuano a scortarlo dal mare e anche quando entra a Napoli da Re sulla prima ferrovia italiana ha le spalle coperte dall’Intrepid (chi si rivede) che dal 24 Agosto, insieme ad altre navi britanniche, si muove nelle acque napoletane.
Il 6 Settembre, giorno della partenza di Francesco II e del concomitante arrivo di Garibaldi a Napoli in treno, il legno britannico sosta vicino alla costa, davanti al litorale di Santa Lucia, da dove può tenere sotto tiro il Palazzo Reale. Una presenza costante e incombente, sempre minacciosa per i borbonici e rassicurante per Garibaldi, una garanzia per la riuscita dell’impresa dei “più di mille”. l’Intrepid lascia Napoli il 18 Ottobre 1860 per tornare definitivamente in Inghilterra dando però il cambio ad altre navi inglesi, proprio mentre Garibaldi, “dittatore di Napoli”, dona agli amici inglesi un suolo a piacere che viene designato in Via San Pasquale a Chiaia su cui viene eretta quella cappella protestante che Londra aveva sempre voluto costruire per gli inglesi di Napoli ma che i Borbone non avevano mai consentito di realizzare. Lo stesso accadrà a Palermo nel 1872.
Qualche mese dopo, la città di Gaeta che ospita Francesco II nella strenua difesa del Regno è letteralmente rasa al suolo dal Generale piemontese Cialdini, pagando non solo il suo ruolo di ultimo baluardo borbonico ma anche e soprattutto l’essere stato nel 1848 il luogo del rifugio di Papa Pio IX, ospite dei Borbone, in fuga da Roma in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini, periodo in cui la città assunse la denominazione di “Secondo Stato Pontificio”.
Scompare così l’antico Regno di Ruggero il Normanno sopravvissuto per quasi otto secoli, non a caso nel momento del suo massimo fulgore.
Dieci anni dopo, nel Settembre 1870, la breccia di Porta Pia e l’annessione di Roma al Regno d’Italia decreta la fine anche dello Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, portando a compimento il grande progetto delle massonerie internazionali nato almeno quindici anni prima, volto a cancellare la grande potenza economico-industriale del Regno delle Due Sicilie e il grande potere cattolico dello Stato Pontificio. Il Vaticano, proprio da qui si mondanizza per sopravvivenza e comincia ad affiancarsi alle altre supremazie mondiali che hanno cercato di eliminarlo.
Garibaldi, pochi anni dopo la sua impresa, è ospite a Londra dove viene accolto come un imperatore. I suoi rapporti con l’Inghilterra continuano per decenni e si manifestano nuovamente quando, intorno alla metà del 1870, il Generale è impegnato nell’utopia della realizzazione di un progetto faraonico per stravolgere l’aspetto di Roma: il corso del Tevere entro Roma completamente colmato con un’arteria ferroviaria contornata da aree fabbricabili. Da Londra si tessono contatti con società finanziarie per avviare il progetto ed arrivano nella Capitale gli ingegneri Wilkinson e Fowler per i rilievi e i sondaggi. È pronta a realizzare la remunerativa follia la società britannica Brunless & McKerrow che non vi riuscirà mai perché il progetto viene boicottato del Governo italiano.
L’ideologia nazionale venera i “padri della patria” che operarono il piano internazionale, dimenticando tutto quanto di nefasto si raccontasse di Garibaldi, un avventuriero dal passato poco edificante. L’Italia di oggi festeggia un uomo condannato persino a “morte ignominiosa in contumacia” nel 1834 per sentenza del Consiglio di Guerra Divisionale di Genova perché nemico della Patria e dello Stato, motivo per il quale fuggì latitante in Sud America dove diede sfogo a tutta la sua natura selvaggia.
In quanto a Cavour, al Conte interessava esclusivamente ripianare le finanze dello Stato piemontese, non certo l’unità di un paese di cui non conosceva neanche la lingua, così come Vittorio Emanuele II primo Re d’Italia, benché non a caso secondo di nome nel solco di una continuazione della dinastia sabauda e non italiana. Non a caso il 21 Febbraio 1861, nel Senato del Regno riunito a Torino, il nuovo Re d’Italia fu proclamato da Cavour «Victor-Emmanuel II, Roi d’Italie», non Re d’Italia.
FONTE: angeloxg1.wordpress.com
giovedì 29 dicembre 2011
Qualità e convenienza, sapori regionali del Sud, terra di cultura e passioni. Scopri il nostro assortimento nei punti vendita COMPRASUD.
IL PIACERE DI SCEGLIERE I SAPORI DELLA TUA TERRA
Le aziende di produzione inserite nel progetto COMPRASUD sono quelle dell’area nielsen 4, con l’aggiunta della Sardegna e del basso Lazio.
Un' Area Nielsen è un'area geografica specifica in cui l'istituto di ricerca Nielsen suddivide un paese per effettuare le rilevazioni e stime di mercato, copertura, quote di mercato, prezzi, e una serie di analisi per il marketing e la distribuzione.
CompraSud intende rendere un lusso accessibile le tipicità regionali del Sud Italia. Un mix assortimentale vincente in qualità e convenienza. Una ricetta semplice che ricorda quella dell’americana Fairway che ha connotato la sua idea di convenienza proprio a partire dalla qualità. La catena è stata concepita per offrire prodotti freschi di pregio venduti a prezzi accessibili grazie ad una politica che prevede l’acquisto dei prodotti direttamente dai produttori evitando grossisti ed intermediari.
La scelta di proporre un mix assortimentale inedito offre ai P.V. Comprasud una forte distintività sul mercato. Per il management di Comprasud meno referenze e sovrapposizioni di prezzo, consentono ai consumatori di fare la spesa in modo più semplice e rapido cogliendo, allo stesso tempo, l’opportunità di esplorare un mondo, quello del Sud che produce, con l’opportunità di accedere a prodotti che, per la gran parte, non sono presenti nelle altre insegne della Gdo.
FONTE: supermercaticomprasud.it
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FONTE: supermercaticomprasud.it
Prodi A pochi passi dal crac Romano ammette: "L'euro che pensammo 10 anni fa non va bene"
Mortadella si confessa a La Repubblica: Serviva ben altro per farlo funzionare. Poi bacchetta Sarkò e Merkel: Egoisti
Romano Prodi dialoga con La Repubblica a tutto campo. Parla di crisi del debito, della Merkel e di Sarkò a cui non lesina critiche, di quanto è stato bravo quando governava ma soprattutto dell'euro. Mortadella si dilunga parlando della moneta unica che ha inseguito con tutte le sue forze, fino a che l'Italia è riuscita ad ottenerla. Il grande artefice dell'ingresso del Belpaese nel circuito ormai quasi putrefatto dell'euro, però, a distanza di un decennio ci viene a spiegare che, no, le cose andavano fatte diversamente.Mortadella si sconfessa - Prodi spiega: "Una moneta comune va difesa con strumenti comuni. Occorre che la Bce sia autorizzata a fare il proprio lavoro, come lo fa la Fed (Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Unti, ndr). E occorre che gli eurobond - aggiunge -, garantiti dall'oro delle banche centrali nazionali, consentano non solo di difendere il debito, ma anche di rilanciare gli investimenti, come hanno fatto Cina e Usa nel momento del bisogno". Passi per gli eurobond difficilmente ipotizzabili agli albori dell'euro, ma com'è che adesso il Professore di Bologna ci viene a dire che serviva ben altra regolamentazione per garantire la stabilità (oggi sarebbe meglio dire la sopravvivenza) della moneta unica? Non poteva pensarci prima, quando il Vecchio Continente e con lui l'Italia da lui governata si imbarcavano in un avventura che a breve potrebbe rivelarsi suicida?
"Un progetto incompiuto" - Prodi prende poi atto del fallimento comunitario e aggunge: "Diciamo che siamo di fronte alla necessità di una rifondazione. Dobbiamo prendere atto dell'incompiutezza di quel progetto e portarlo a termine. Del resto anche allora lo andavo dicendo che non si poteva avere una politica monetaria unica senza una politica economica comune. Ma la reazione, di Kohl come di Chirac, fu netta: è meglio rinviare la fase due". Insomma Prodi lo aveva detto ai suoi colleghi che il sistema non avrebbe potuto funzionare, ma ci ha ugualmente condotto dritti dritti verso l'abbraccio asfissiante dell'euro. L'ex premier prosegue sottolinando come "l'Europa è cambiata. E' cominciata l'era della Grande Paura. Paura della globalizzazione. Paura della Cina. Paura del futuro. E la Germania si è fatta paladina di queste paure. Così tutto il processo si è rallentato. E quando è arrivata la tempesta non solo mancavano gli strumenti per affrontarla, ma anche la voglia di uscire dai porticcioli protetti dagli egoismi nazionali".
FONTE: liberoquotidiano.it
Romano Prodi dialoga con La Repubblica a tutto campo. Parla di crisi del debito, della Merkel e di Sarkò a cui non lesina critiche, di quanto è stato bravo quando governava ma soprattutto dell'euro. Mortadella si dilunga parlando della moneta unica che ha inseguito con tutte le sue forze, fino a che l'Italia è riuscita ad ottenerla. Il grande artefice dell'ingresso del Belpaese nel circuito ormai quasi putrefatto dell'euro, però, a distanza di un decennio ci viene a spiegare che, no, le cose andavano fatte diversamente.Mortadella si sconfessa - Prodi spiega: "Una moneta comune va difesa con strumenti comuni. Occorre che la Bce sia autorizzata a fare il proprio lavoro, come lo fa la Fed (Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Unti, ndr). E occorre che gli eurobond - aggiunge -, garantiti dall'oro delle banche centrali nazionali, consentano non solo di difendere il debito, ma anche di rilanciare gli investimenti, come hanno fatto Cina e Usa nel momento del bisogno". Passi per gli eurobond difficilmente ipotizzabili agli albori dell'euro, ma com'è che adesso il Professore di Bologna ci viene a dire che serviva ben altra regolamentazione per garantire la stabilità (oggi sarebbe meglio dire la sopravvivenza) della moneta unica? Non poteva pensarci prima, quando il Vecchio Continente e con lui l'Italia da lui governata si imbarcavano in un avventura che a breve potrebbe rivelarsi suicida?
"Un progetto incompiuto" - Prodi prende poi atto del fallimento comunitario e aggunge: "Diciamo che siamo di fronte alla necessità di una rifondazione. Dobbiamo prendere atto dell'incompiutezza di quel progetto e portarlo a termine. Del resto anche allora lo andavo dicendo che non si poteva avere una politica monetaria unica senza una politica economica comune. Ma la reazione, di Kohl come di Chirac, fu netta: è meglio rinviare la fase due". Insomma Prodi lo aveva detto ai suoi colleghi che il sistema non avrebbe potuto funzionare, ma ci ha ugualmente condotto dritti dritti verso l'abbraccio asfissiante dell'euro. L'ex premier prosegue sottolinando come "l'Europa è cambiata. E' cominciata l'era della Grande Paura. Paura della globalizzazione. Paura della Cina. Paura del futuro. E la Germania si è fatta paladina di queste paure. Così tutto il processo si è rallentato. E quando è arrivata la tempesta non solo mancavano gli strumenti per affrontarla, ma anche la voglia di uscire dai porticcioli protetti dagli egoismi nazionali".
FONTE: liberoquotidiano.it
mercoledì 28 dicembre 2011
La magia del Presepe vivente delle Tradizioni
PESCO SANNITA - Questa sera alle 19 il taglio del nastro del Presepe Vivente delle Tradizioni. Un evento di grande risonanza non solo per il Sannio, ma anche per l’intera regione. Due giorni, 28 e 29 dicembre, dedicati alla rappresentazione scenica degli antichi mestieri e non solo.
Uno spettacolo nello spettacolo, dove attori e figuranti portano in scena le tradizioni e le attività di un tempo oramai passato. Davvero una favola nella favola dove ogni spettatore diventa vero protagonista, ma anche parte integrante della rappresentazione scenica.
Ad organizzare l’importante evento è il Comitato Presepe, presieduto da Cosimo Capozza, con la collaborazione della parrocchia del Santissimo Salvatore, l’amministrazione comunale presieduta da Antonio Michele, la Pro Loco e il Forum giovani. Tutti impegnati per la partecipazione in ogni fase dell’allestimento.
Per cui, il successo è già garantito per l’impegno e l’abnegazione di ogni persona che si dedica nella fase di preparazione del Presepe. Tutti i cittadini e le associazioni collaborano senza steccati di sorta, una dedizione unica e senza precedenti.
Il comitato Presepe Vivente è presieduto da Cosimo Capozza; presidente onorario il parroco don Massimo Bertoncelli; vice presidente Gina Meola, segretario Gino De Maria; tesoriere Alessandro Inglese; Consiglieri: Carmina Di Iorio, Dora Carpinelli, Lucia D’Agostino, Margherita De Palma, Giovanna Costa, Biagio Orlando, Mariano Pennucci, Michele Claudio, Angiolina Cistaro, Lucio Gianquitto, Gino Pilla, Valentina Gagliozzi, Andrea Ialeggio, Filomena D’Agostino.
“Nella manifestazione natalizia del Presepe Vivente di Pesco Sannita - dichiara il presidente del comitato, Cosimo Capozza - gli antichi mestieri e le attività lavorative, artigianali e contadine di un tempo sono suggestivamente riproposte nelle scene della tradizione biblica e popolare. In un affascinante paesaggio architettonico e naturale che fa da cornice al magico evento della Natività, attori e figuranti fanno rivivere scorci di vita reale. Vicoletti illuminati da torce e falò, case ormai disabitate sono lo scenario di un Presepe particolare, animato da personaggi tipici e tradizionali che ripropongono costumi, gestualità e parole di una volta. Il visitatore riscopre un quotidiano ricco di persone, luoghi e vicende legate alla realtà del mondo agro-pastorale; mestieri ricchi di una sapienza antica pervasi di fantasia e pazienza e caratterizzati dalla manualità collettiva di interi nuclei familiari. Ecco il fabbro che batte il martello sulla sonante incudine, giovani ricamatrici e filatrici che cardano la lana, il ciabattino ed il canestraio che ripetono gli antichi gesti, lo scalpellino che lavora la pietra. Nelle piazzette e sotto gli archi disseminati lungo il percorso si incontrano le botteghe del falegname, del barbiere, del fornaio e dell’arrotino, l’osteria e la fiera delle merci e del bestiame. Ogni cosa - termina Cosimo Capozza - sembra essersi fermata e ci si sente parte di un mondo antico. La tenue luce delle fiaccole e il chiarore della lucerna ad olio conferiscono ai vicoli e alle antiche casette del centro storico di Pesco Sannita quella magica semplicità che rende il ‘Presepe delle Tradizioni’ uno spettacolo autentico, suggestivo e pieno di fascino, in cui lo stesso visitatore diventa protagonista”.
FONTE: ilsannioquotidiano.it
Uno spettacolo nello spettacolo, dove attori e figuranti portano in scena le tradizioni e le attività di un tempo oramai passato. Davvero una favola nella favola dove ogni spettatore diventa vero protagonista, ma anche parte integrante della rappresentazione scenica.
Ad organizzare l’importante evento è il Comitato Presepe, presieduto da Cosimo Capozza, con la collaborazione della parrocchia del Santissimo Salvatore, l’amministrazione comunale presieduta da Antonio Michele, la Pro Loco e il Forum giovani. Tutti impegnati per la partecipazione in ogni fase dell’allestimento.
Per cui, il successo è già garantito per l’impegno e l’abnegazione di ogni persona che si dedica nella fase di preparazione del Presepe. Tutti i cittadini e le associazioni collaborano senza steccati di sorta, una dedizione unica e senza precedenti.
Il comitato Presepe Vivente è presieduto da Cosimo Capozza; presidente onorario il parroco don Massimo Bertoncelli; vice presidente Gina Meola, segretario Gino De Maria; tesoriere Alessandro Inglese; Consiglieri: Carmina Di Iorio, Dora Carpinelli, Lucia D’Agostino, Margherita De Palma, Giovanna Costa, Biagio Orlando, Mariano Pennucci, Michele Claudio, Angiolina Cistaro, Lucio Gianquitto, Gino Pilla, Valentina Gagliozzi, Andrea Ialeggio, Filomena D’Agostino.
“Nella manifestazione natalizia del Presepe Vivente di Pesco Sannita - dichiara il presidente del comitato, Cosimo Capozza - gli antichi mestieri e le attività lavorative, artigianali e contadine di un tempo sono suggestivamente riproposte nelle scene della tradizione biblica e popolare. In un affascinante paesaggio architettonico e naturale che fa da cornice al magico evento della Natività, attori e figuranti fanno rivivere scorci di vita reale. Vicoletti illuminati da torce e falò, case ormai disabitate sono lo scenario di un Presepe particolare, animato da personaggi tipici e tradizionali che ripropongono costumi, gestualità e parole di una volta. Il visitatore riscopre un quotidiano ricco di persone, luoghi e vicende legate alla realtà del mondo agro-pastorale; mestieri ricchi di una sapienza antica pervasi di fantasia e pazienza e caratterizzati dalla manualità collettiva di interi nuclei familiari. Ecco il fabbro che batte il martello sulla sonante incudine, giovani ricamatrici e filatrici che cardano la lana, il ciabattino ed il canestraio che ripetono gli antichi gesti, lo scalpellino che lavora la pietra. Nelle piazzette e sotto gli archi disseminati lungo il percorso si incontrano le botteghe del falegname, del barbiere, del fornaio e dell’arrotino, l’osteria e la fiera delle merci e del bestiame. Ogni cosa - termina Cosimo Capozza - sembra essersi fermata e ci si sente parte di un mondo antico. La tenue luce delle fiaccole e il chiarore della lucerna ad olio conferiscono ai vicoli e alle antiche casette del centro storico di Pesco Sannita quella magica semplicità che rende il ‘Presepe delle Tradizioni’ uno spettacolo autentico, suggestivo e pieno di fascino, in cui lo stesso visitatore diventa protagonista”.
FONTE: ilsannioquotidiano.it
I treni non passano più? Siciliani: 'Allora smantelliamo i binari'
Visto che il servizio di Trenitalia non è più da considerarsi di pubblica utilità, smantelliamo i binari che attraversano i comuni per rendere più vivibile i nostri paesi. Dopo Mario Caruso, sindaco di Cirò, anche il primo cittadino di Cirò Marina, Roberto Siciliani, con una provocazione lancia i suoi strali contro la decisione di Trenitalia di tagliare i treni sulla tratta ferroviaria ionica. “Sembra di vivere in un terra abbandonata da tutti - si sfoga Siciliani -, maledetta dalla sua bellezza e tradita proprio da chi dovrebbe assicurarne lo sviluppo”.
Il sindaco di Cirò Marina, che sullo sviluppo turistico della sua cittadina sta scommettento a piene mani attraverso campagne di promozione e partecipazioni televisive nazionali, è amareggiato: “Come si pensa di poter parlare di impresa e turismo al Sud e nel crotonese, se per giunta le Fs che da sempre, per un lungo cinquantennio circa, hanno assicurato il collegamento del nostro territorio con il resto dell’Italia, oggi hanno deciso di dismettere in toto, non già eventuali investimenti ma quanto e soprattutto anche i collegamenti ferroviari esistenti, che se pur pochi e scadenti nella qualità delle vetture usate, erano tuttavia da sollievo al nostro territorio”. In questo contesto Siciliani evidenzia una serie di paradossi. Come quello della presenza di binari che dividono in due i comuni che attraversano e che “in molti casi deturpano la costa ionica crotonese”.
Un attraversamento che si poteva tollerare nonostante la presenza di “vecchi passaggi a livello che nelle ore più disparate del giorno interrompevano la normale vita quotidiana, e in molti casi , impedivano ed impediscono tutt’ora, anche ai servizi di pubblica utilità (ambulanze, carabinieri, vigili del fuoco etc..) di prestare tempestivamente la loro preziosa opera”. “Ma oggi no - tuona Siciliani - oggi che sulla nostra magnifica costa, i binari stanno arrugginendo senza che ve ne sia un senso e un significato, visto che le FS hanno deciso di abiurare a collegarci al resto dell’Italia , perché mai tutti noi Sindaci, noi Amministratori dovremmo consentire che i nostri abitanti continuino a pagare lo scotto ingiustificato di un servizio che non c’è più e che mai più , nel nome della sua anti economicità verrà riavviato e ripreso?”
Siciliani lancia la sua provocazione e facendo notare che “con l’ipocrisia, ammantata da servizio pubblico, si persevera a prendere in giro la gente, mantenendo l’erogazione del servizio al minimo vitale” rivolge “a tutti i sindaci della costa ionica crotonese, i cui comuni sono attraversati dalla ferrovia, specie nella parte interna dei paesi, di avviare un’azione comune e collegiale al fine di smantellare i binari o comunque di rendere il servizio svolto dalle FS - alla luce che lo stesso non può più considerasi di pubblica utilità -, compatibile con la normale vita dei nostri paesi, con tutti i costi a totale carico delle Ferrovie dello Stato”.FONTE: ilcentrotirreno.it
Percolato nel mare della Campania Indagato anche Guido Bertolaso
Le accuse spaziano dall'associazione per delinquere alla truffa. Destinatari, tra gli altri, l'ex governatore Pd della Regione Antonio Bassolino, il prefetto Catenacci e l'ex vice del capo della Protezione civile, Marta di Gennaro C’è anche Guido Bertolaso tra i 41 destinatari dell’avviso di conclusa indagine firmato dai pm di Napoli Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo per lo scandalo del percolato versato nel mare della Campania. Il nome dell’ormai ex “uomo della provvidenza” sbuca a sorpresa in extremis tra le carte dell’inchiesta. A gennaio non risultava tra gli indagati, quando scattarono gli arresti per la sua ex vice Marta Di Gennaro e per il suo predecessore al commissariato per l’emergenza rifiuti, il prefetto Corrado Catenacci. Lo risulta adesso, insieme ad altri indagati ‘nuovi’, tra cui il prefetto ed ex commissario Alessandro Pansa, l’ex amministratore delegato di Fibe-Impregilo Massimo Malvagna, un altro dirigente di Impregilo, Armando Cattaneo, l’ex sub commissario Carlo Alfiero. Nomi che vanno ad aggiungersi a quelli di Catenacci, Di Gennaro e dell’ex governatore della Campania Antonio Bassolino.
La chiamavano ‘emergenza-percolato’, quel liquido nauseabondo e velenosissimo prodotto dalla fermentazione dei rifiuti in discarica o dal residuo di scarto della lavorazione nei Cdr. Nella Campania delle continue crisi-spazzatura, commissariata per 16 anni, era sempre più complicato smaltirlo. Poi l’inchiesta della Procura di Napoli ha scoperto che per anni tonnellate di percolato avrebbero inquinato il mare del napoletano e del litorale dei Campi Flegrei.
Nelle scorse ore la notifica dei 41 avvisi di conclusa indagine per reati che spaziano dall’associazione per delinquere alla truffa alle violazioni ambientali. Tra i destinatari ci sono amministratori ed ex amministratori pubblici, ex funzionari e dirigenti della Regione, del ministero dell’Ambiente, delle società concessionarie della depurazione. L’elenco degli indagati è lievitato di tre unità (ci sono anche due posizioni stralciate verso l’archiviazione) rispetto ai 38 accertati nel gennaio scorso, quando il Gip collegiale (Burno D’Urso, Francesco Chiaromonte, Luigi Giordano) emanò 14 ordinanze di custodia cautelare (8 in carcere, 6 ai domiciliari), accendendo un faro sulla gestione degli impianti di depurazione, utilizzati per smaltire percolato che però non erano tecnicamente in grado di trattare. Ai domiciliari finirono anche la Di Gennaro e Catenacci. Quest’ultimo il giorno dopo gli arresti si dimise dalla presidenza dalla Sapna, la società provinciale di Napoli dei rifiuti, incarico deliberato dall’amministrazione provinciale guidata dal Pdl Luigi Cesaro.
La Procura di Napoli sostiene l’esistenza di un accordo tra funzionari pubblici e gestori degli impianti di depurazione campani per immettere sul tratto di costa tra Napoli e Caserta percolato non trattato e altamente nocivo. In nome di un profitto e di un risparmio da raggiungere in spregio a ogni regola. E le 950 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare notificata undici mesi fa sono infarcite di intercettazioni inquietanti a sostegno di questa tesi. Come quella captata a Gaetano De Bari, amministratore delegato di Hydrogest, la società che fa funzionare il depuratore di Cuma. “A me della Campania non me ne frega un cazzo, non me ne frega dello smaltimento dei rifiuti, il problema è loro. Devo fare tutto questo per 20.000 euro al mese. Mi hanno chiamato, mi hanno fatto sedere su una sedia e mi hanno detto ti devi prendere il percolato”. Le pressioni sui gestori degli impianti per assorbire il veleno liquido erano notevoli. “L’assessore Nocera (ex Udeur, responsabile all’Ambiente nella giunta Bassolino) di fronte alle nostre obiezioni, dichiarò che se non avessimo seguito le sue richieste avrebbe fatto sequestrare gli impianti”. Un passaggio dei magistrati fu dedicato a Bertolaso: “Anche il commissario straordinario Bertolaso e il suo vice, Marta Di Gennaro, avevano consapevolezza della problematica del percolato, e tuttavia lo gestivano con assoluta sufficienza, e soprattutto in dispregio di ogni regola”.
Noviello e Sirleo sono i pm che hanno condotto le principali indagini sullo scandalo rifiuti in Campania, comprese quelle culminate nel processo a Bassolino e ai vertici dell’Impregilo. Entrambi a gennaio lasceranno la Procura di Napoli. Conseguenza di uno ‘strappo’ coi vertici della Procura risalente all’inchiesta ‘Rompiballe’, quando il procuratore capo Giandomenico Lepore (da pochi giorni in pensione) decise di stralciare il nome di Bertolaso dal fascicolo principale, dove erano contenute le accuse più gravi. Una decisione che Noviello e Sirleo non condivisero, rinunciando a firmare le richieste di rinvio a giudizio.
FONTE: ilfattoquotidiano.it
martedì 27 dicembre 2011
L'evasione fiscale in Italia è concentrata nel centro nord
L'evasione fiscale è forse il male più grave dell'economia in Italia. Dai dati resi noti dall'Irpef ogni contribuente evade mediamente 2000 Euro l'anno. La distribuzione, però, non è omogenea. Al nord l'evasione media sarebbe di 2530 Euro, mentre al centro è di 2936 Euro ed al sud di 950 Euro, sempre relativamente ai redditi Irpef. I settori più esposti all'evasione sono i lavoratori autonomi, gli imprenditori e gli esercizi commerciali.
FONTE: nanopress.it
FONTE: nanopress.it
Giorgio Bocca sul Meridione: "gente orrenda, un'umanità repellente, puzza di marcio”
Giorgio Bocca, il novantunenne giornalista spara a zero sul Meridione e su molti personaggi del sud Italia, e non solo, in una videointervista che andrà in onda il 3 ottobre e che si intitola “La neve e il fuoco”. Sarà una specie di documentario realizzato da Maria Pace Ottieri e Luca Masella per Feltrinelli Real cinema. Bocca dà libero sfogo alla lingua e fa una serie di dichiarazioni una più offensiva dell’altra.
Ne riportiamo qualcuna.
FONTE: accento-news.it
Ne riportiamo qualcuna.
"Durante i miei viaggi c'era sempre questo contrasto tra paesaggi meravigliosi e gente orrenda, un'umanità repellente”. E parlando di Palermo: “Una volta mi trovavo nei pressi del palazzo di giustizia. C'era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie.”
Non risparmia nemmeno Napoli: “Vai in quella città ed è un cimiciaio, ancora adesso. Ci sono zone inguaribili.” Almeno, dichiara, questo squallore porta notizie ai giornali.
Non risparmia nemmeno Napoli: “Vai in quella città ed è un cimiciaio, ancora adesso. Ci sono zone inguaribili.” Almeno, dichiara, questo squallore porta notizie ai giornali.
Ma nessuna gratitudine? “Grato? Come dire: sono grato perché vado a caccia grossa di belve. Insomma, non sei grato alle belve, fai la caccia grossa, non è che fraternizzi con le belve.”
Quando si sofferma su una serie di personaggi, afferma quanto segue.
Innanzitutto, giustifica la sottoscrizione dell'appello contro il commissario Luigi Calabresi dicendo: “Era un reazionario estremo, nemico del movimento” e distrugge, tra gli altri, Pier Paolo Pasolini: “Di una violenza spaventosa. E poi mi annoiava, sono un po' omofobo”. Marco Travaglio: “Scrive libri coi ritagli della questura.” Gianni Brera è una “carogna” e Camilla Cederna “la correttezza in persona. Ma quando scoprì la politica ha iniziato a dare i numeri”.
Infine su Silvio Berlusconi: “Mi stupisco che non mi ami, io scrivo sui giornali che è un maiale e dentro di me penso che lui dica: beh, in fondo ha ragione”.
Quando si sofferma su una serie di personaggi, afferma quanto segue.
Innanzitutto, giustifica la sottoscrizione dell'appello contro il commissario Luigi Calabresi dicendo: “Era un reazionario estremo, nemico del movimento” e distrugge, tra gli altri, Pier Paolo Pasolini: “Di una violenza spaventosa. E poi mi annoiava, sono un po' omofobo”. Marco Travaglio: “Scrive libri coi ritagli della questura.” Gianni Brera è una “carogna” e Camilla Cederna “la correttezza in persona. Ma quando scoprì la politica ha iniziato a dare i numeri”.
Infine su Silvio Berlusconi: “Mi stupisco che non mi ami, io scrivo sui giornali che è un maiale e dentro di me penso che lui dica: beh, in fondo ha ragione”.
FONTE: accento-news.it
lunedì 26 dicembre 2011
Le tariffe assicurative auto e moto a Napoli e provincia
La notizia divulgata dal nostro Sindaco, Luigi de Magistris, lo scorso 22 dicembre 2011 dai microfoni di Radio Marte, riguardante “un accordo con una compagnia di assicurazioni straniera che avrà prezzi concorrenziali rispetto a quelli praticati dalle nazionali”, se confermata dai fatti, come ci auguriamo, sarebbe effettivamente rivoluzionaria e rientrerebbe nell’azione dirompente della nuova amministrazione napoletana nei confronti della vecchia politica. Per la prima volta, almeno da quello che possiamo ricordare, un Sindaco di Napoli prende un’iniziativa in nome della collettività per ridurre una spesa obbligatoria, imposta dallo Stato centrale, e che porta miliardi di euro dei cittadini napoletani direttamente nelle tasche delle assicurazioni del Nord Italia.
L’iniziativa del Sindaco arriva sull’onda di quella popolare portata avanti da diverse organizzazioni come il Comitato Mo’ Bast e Federconsumatori che hanno consegnato il 20 dicembre 2011 all’Unione Europea a Bruxelles una petizione firmata da 73 mila napoletani stufi della discriminazione delle tariffe. Non è possibile che a Napoli, con meno incidenti, morti e feriti, a parità di numero di auto in circolazione, si debba pagare tariffe assicurative al doppio o al triplo di quelle pagate a Milano. Qualcosa non va.
Se andranno in porto le iniziative del Sindaco rispetto al contratto con un’assicurazione straniera e quella portata avanti a Bruxelles da Mo’ Bast e Federconsumatori per intervenire sulle assicurazioni italiane, ci troveremmo di fronte a un esempio di un nuovo modo di fare una politica realmente nell’interesse del rilancio e del riscatto del Sud. Saremmo alla presenza di un Sindaco che prende sempre più coscienza di Napoli Capitale nell’interesse dei suoi cittadini, senza alcun sostegno da parte dei partiti nazionali italiani di destra, di centro, o di sinistra, senza aiuto del governo nazionale, e di un movimento popolare che dal basso dice no alla prepotenza dei poteri forti del Nord.
Il Partito del Sud sostiene il Sindaco e le associazioni che si battono per ridurre il costo delle assicurazioni obbligatorie, specialmente per quei cittadini virtuosi, come li ha definiti l’assessore allo sviluppo, Marco Esposito, ricordando, tuttavia, che la lotta per la riduzione dei costi delle assicurazioni per i veicoli a Napoli e provincia deve essere abbinata a quella più generale per i trasporti e i parcheggi. La preoccupante situazione rispetto alla gestione dell’intero sistema trasporti in Campania avrà bisogno di un impegno istituzionale del nostro Sindaco sostenuto da un forte movimento dal basso, pari a quello dimostrato sul problema delle tariffe assicurative. Solo potenziando l’intero sistema dei trasporti provinciali e cittadini e mettendo in funzione i parcheggi già costruiti ma mai aperti, sarà possibile dare ai napoletani la possibilità di ridurre il peso della voce “trasporti” sul bilancio familiare, migliorando di pari passo anche la qualità della vita.
Alessandro Citarella
FONTE: pdsudnapoli.org
Benvenuti al Nord, il teaser trailer con omaggio a Totò
Claudio Bisio e Alessandro Siani tornano nel sequel di Benvenuti al Sud e traslocano a Milano.
Benvenuti al Nord, il teaser trailer con omaggio a Totò
Chi non ricorda la celebre scena di Totò Peppino e… la malafemmina in cui i due protagonisti, i fratelli Capone, partono da Napoli diretti a Milano e si trovavano spaesati in piazza del Duomo intenti a comunicare con un brigadiere lombardo con non pochi problemi linguistici? Proprio a questo piccolo cult della nostra cinematografia è dedicato il primo teaser trailer di Benvenuti al Nord, sequel del fortunato Benvenuti al Sud,che nel 2010 sfiorò i 30 milioni di euro ai botteghini italiani. Remake del francese Giù al Nord di e con Danny Boon il film vedeva Claudio Bisio nei panni di Alberto Colombo, un funzionario delle poste della provincia di Milano spedito per “punizione” a dirigere un ufficio postale di un paesino campano. Tra pregiudizi e disavventure varie l’uomo imparava a conoscere aspetti positivi di un luogo che aveva sempre considerato a dir poco ostile. A fargli cambiare idea erano soprattutto i nuovi colleghi intepretati da Alessandro Siani, Valentina Lodovini, Giacomo Rizzo e Nando Paone. E proprio questi ultimi due, insieme a Nunzia Schiano e Salvatore Misticone, (rispettivamente mamma del personaggio di Siani, Mattia, e del compaesano Signor Scapece) sono protagonisti del divertente teaser trailer. I quattro si trovano in piazza del Duomo e tentano di chiedere informazioni a una vigilessa per riuscire a rintracciare Alberto e Mattia.
Benvenuti al Nord arriverà nelle nostre sale il prossimo 18 gennaio, diretto ancora una volta da Luca Miniero, e vede rinconfermato il cast composto da Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini, Nando Paone, Giacomo Rizzo, Nunzia Schiano e Salvatore Misticone.
Questa la trama ufficiale del film:
“Dopo BENVENUTI AL SUD, la situazione ora si capovolge: Alberto e Mattia (Claudio Bisio e Alessandro Siani), sono in crisi con le rispettive mogli. Silvia (Angela Finocchiaro) detesta Milano a causa delle polveri sottili e dell’ozono troposferico e accusa Alberto di pensare solo al lavoro e poco a lei. Intanto Mattia, il solito irresponsabile, vive con la moglie Maria (Valentina Lodovini) e il figlio Edinson a casa della madre, lavora poco e proprio non riesce a pronunciare la parola “mutuo”. Mattia suo malgrado finirà a lavorare a Milano, incastrato dall’ingenuità dei suoi amici che lo affidano alle cure di Alberto. L’impatto del napoletano con la città sarà terribile: partito con un giubbotto fendinebbia il povero Mattia finirà col rovinare la sua vita e quella dell’amico Alberto. Ma, piano piano, i pregiudizi inizieranno a sciogliersi…”
FONTE: bestmovie.it
Benvenuti al Nord, il teaser trailer con omaggio a Totò
Chi non ricorda la celebre scena di Totò Peppino e… la malafemmina in cui i due protagonisti, i fratelli Capone, partono da Napoli diretti a Milano e si trovavano spaesati in piazza del Duomo intenti a comunicare con un brigadiere lombardo con non pochi problemi linguistici? Proprio a questo piccolo cult della nostra cinematografia è dedicato il primo teaser trailer di Benvenuti al Nord, sequel del fortunato Benvenuti al Sud,che nel 2010 sfiorò i 30 milioni di euro ai botteghini italiani. Remake del francese Giù al Nord di e con Danny Boon il film vedeva Claudio Bisio nei panni di Alberto Colombo, un funzionario delle poste della provincia di Milano spedito per “punizione” a dirigere un ufficio postale di un paesino campano. Tra pregiudizi e disavventure varie l’uomo imparava a conoscere aspetti positivi di un luogo che aveva sempre considerato a dir poco ostile. A fargli cambiare idea erano soprattutto i nuovi colleghi intepretati da Alessandro Siani, Valentina Lodovini, Giacomo Rizzo e Nando Paone. E proprio questi ultimi due, insieme a Nunzia Schiano e Salvatore Misticone, (rispettivamente mamma del personaggio di Siani, Mattia, e del compaesano Signor Scapece) sono protagonisti del divertente teaser trailer. I quattro si trovano in piazza del Duomo e tentano di chiedere informazioni a una vigilessa per riuscire a rintracciare Alberto e Mattia.
Benvenuti al Nord arriverà nelle nostre sale il prossimo 18 gennaio, diretto ancora una volta da Luca Miniero, e vede rinconfermato il cast composto da Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini, Nando Paone, Giacomo Rizzo, Nunzia Schiano e Salvatore Misticone.
Questa la trama ufficiale del film:
“Dopo BENVENUTI AL SUD, la situazione ora si capovolge: Alberto e Mattia (Claudio Bisio e Alessandro Siani), sono in crisi con le rispettive mogli. Silvia (Angela Finocchiaro) detesta Milano a causa delle polveri sottili e dell’ozono troposferico e accusa Alberto di pensare solo al lavoro e poco a lei. Intanto Mattia, il solito irresponsabile, vive con la moglie Maria (Valentina Lodovini) e il figlio Edinson a casa della madre, lavora poco e proprio non riesce a pronunciare la parola “mutuo”. Mattia suo malgrado finirà a lavorare a Milano, incastrato dall’ingenuità dei suoi amici che lo affidano alle cure di Alberto. L’impatto del napoletano con la città sarà terribile: partito con un giubbotto fendinebbia il povero Mattia finirà col rovinare la sua vita e quella dell’amico Alberto. Ma, piano piano, i pregiudizi inizieranno a sciogliersi…”
FONTE: bestmovie.it
Il turismo nel Sannio ed a Benevento: questo sconosciuto...
Ecco, per un'idea di governo della Provincia sannita e della città di Benevento un'area di intervento può essere il turismo. Ma come?, si dirà: è tema dibattuto da tempo, fiore all'occhiello delle politiche di governo locale ed ora se ne parla – ancora - come di un possibile elemento di sviluppo? E quel che è stato e ci è stato raccontato?
Ci leva il dubbio l'Istat, che qualche giorno fa ha reso disponibili i dati definitivi sul movimento dei clienti nelle strutture ricettive, riguardanti l'anno 2010, rilevazione che si è avvalsa della compartecipazione delle Regioni o delle Province.
“La rilevazione – si legge nella nota dell'Istituto di statistica - è un'indagine censuaria condotta mensilmente. Unità di rilevazione sono gli esercizi ricettivi ripartiti tra strutture alberghiere, classificate in cinque categorie contrassegnate da stelle in ordine decrescente, e strutture extralberghiere: campeggi, villaggi turistici, alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale, alloggi agro-turistici, ostelli per la gioventù, case per ferie, rifugi alpini, altre strutture ricettive di tipo complementare e bed & breakfast. Le informazioni vengono raccolte con appositi modelli di rilevazione, compilati dai titolari degli esercizi ricettivi e trasmessi agli enti locali del turismo; tali informazioni vengono poi raccolte e riepilogate mensilmente, con dettaglio comunale, dagli enti periferici che provvedono al loro inoltro all'Istat. I dati sono relativi agli arrivi, sulle giornate di presenza e sulla permanenza media, distinti per paese estero e per regione italiana di residenza dei clienti”.
Le cifre, purtroppo, sono piuttosto impietose con il Sannio e Benevento. In campo regionale (il profilo nazionale è, semplicemente, da maglia nera: siamo sugli ultimi gradini...), l'ultimo posto in una sorta di graduatoria di attrazione dei flussi turistici non ce lo toglie nessuno. 55501 arrivi e 128578 presenze (i pernottamenti) nell'insieme delle strutture ricettive la dicono lunga rispetto, per esempio, alla provincia di Avellino che è penultima fra le cinque campane e quasi doppia quei numeri (103608 arrivi e 228130 presenze). Naturalmente non si compete col resto (Caserta è oltre il milione i presenze, Salerno i sette milioni e Napoli i nove milioni), che non rappresenta un punto di riferimento da inseguire quanto – evidentemente – un esempio da seguire per favorire un innalzamento dei dati che fotografano una realtà appetibile per alcune specificità ma non premiata dalle frequentazioni. A dispetto, anche qui in tutta evidenza, di roboanti intenzioni.
Dunque, in dirittura d'anno – per quanto si faccia riferimento al 2010 – i numeri suggeriscono un aspetto sul quale provare (provare; e siamo al secondo quinquennio ormai...) ad esercitare un'azione politica ed amministrativa che incida nella carne di un settore vitale per l'economia nazionale e di sviluppo per quella locale.
Ci saranno elementi in più, nel 2011: l'Unesco, la sofisticata Città Spettacolo, il Presepe di Dalisi nella città capoluogo, in particolare. E come si fa a non scorgere una prospettiva unitaria in tutto ciò...
FONTE: ntr24.it
Ci leva il dubbio l'Istat, che qualche giorno fa ha reso disponibili i dati definitivi sul movimento dei clienti nelle strutture ricettive, riguardanti l'anno 2010, rilevazione che si è avvalsa della compartecipazione delle Regioni o delle Province.
“La rilevazione – si legge nella nota dell'Istituto di statistica - è un'indagine censuaria condotta mensilmente. Unità di rilevazione sono gli esercizi ricettivi ripartiti tra strutture alberghiere, classificate in cinque categorie contrassegnate da stelle in ordine decrescente, e strutture extralberghiere: campeggi, villaggi turistici, alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale, alloggi agro-turistici, ostelli per la gioventù, case per ferie, rifugi alpini, altre strutture ricettive di tipo complementare e bed & breakfast. Le informazioni vengono raccolte con appositi modelli di rilevazione, compilati dai titolari degli esercizi ricettivi e trasmessi agli enti locali del turismo; tali informazioni vengono poi raccolte e riepilogate mensilmente, con dettaglio comunale, dagli enti periferici che provvedono al loro inoltro all'Istat. I dati sono relativi agli arrivi, sulle giornate di presenza e sulla permanenza media, distinti per paese estero e per regione italiana di residenza dei clienti”.
Le cifre, purtroppo, sono piuttosto impietose con il Sannio e Benevento. In campo regionale (il profilo nazionale è, semplicemente, da maglia nera: siamo sugli ultimi gradini...), l'ultimo posto in una sorta di graduatoria di attrazione dei flussi turistici non ce lo toglie nessuno. 55501 arrivi e 128578 presenze (i pernottamenti) nell'insieme delle strutture ricettive la dicono lunga rispetto, per esempio, alla provincia di Avellino che è penultima fra le cinque campane e quasi doppia quei numeri (103608 arrivi e 228130 presenze). Naturalmente non si compete col resto (Caserta è oltre il milione i presenze, Salerno i sette milioni e Napoli i nove milioni), che non rappresenta un punto di riferimento da inseguire quanto – evidentemente – un esempio da seguire per favorire un innalzamento dei dati che fotografano una realtà appetibile per alcune specificità ma non premiata dalle frequentazioni. A dispetto, anche qui in tutta evidenza, di roboanti intenzioni.
Dunque, in dirittura d'anno – per quanto si faccia riferimento al 2010 – i numeri suggeriscono un aspetto sul quale provare (provare; e siamo al secondo quinquennio ormai...) ad esercitare un'azione politica ed amministrativa che incida nella carne di un settore vitale per l'economia nazionale e di sviluppo per quella locale.
Ci saranno elementi in più, nel 2011: l'Unesco, la sofisticata Città Spettacolo, il Presepe di Dalisi nella città capoluogo, in particolare. E come si fa a non scorgere una prospettiva unitaria in tutto ciò...
FONTE: ntr24.it
Istat. Indagine sui movimenti nelle strutture ricettive per il 2010
Il turismo nel Sannio ed a Benevento: questo sconosciuto...
E siamo ancora qui a parlare di un'idea per tratteggiare l'azione politica ed amministrativa
domenica 25 dicembre 2011
Sannio: si addensano pesanti nubi per la gestione dei rifiuti
Uffici Stampa della Provincia. “All’orizzonte del Sannio si addensano pesanti nubi in materia di gestione del ciclo dei rifiuti. La soppressione delle Province e lo stop alla gestione provincializzazione dei rifiuti consentiranno la apertura nel Sannio di nuove discariche di rifiuti napoletani, come accadeva fino a qualche tempo fa. Inoltre, il Sannio sarà chiamato a pagare anche gli enormi costi di gestione delle discariche regionali”.
E’ quanto ha dichiarato, nella Sala Conisliare della Rocca dei Rettori di Benevento, Gianluca Aceto, assessore all’ambiente della Provincia di Benevento, nel presentare la Cerimonia di premiazione del Concorso “Eco amministrative 2011” svoltasi stamani alla Rocca dei Rettori.
Il Premio promosso dalla Società “Lavorgna srl” e patrocinato dallo stesso assessorato provinciale all’ambiente di Benevento, intendeva premiare i Candidati alle Elezioni amministrative di primavera che si fossero distinti per una Campagna elettorale eco-sostenibile (niente spreco di carta, rispetto per il territorio dopo comizi e manifestazioni varie, etc,.)
L’idea della Società Lavorgna srl, specializzata nell’Igiene urbana e nella raccolta differenziata dei rifiuti in molti Comuni del Sannio e nei territori contermini, con lo slogan “Con Lavorgna c’è differenza”, aveva evidentemente lo scopo di sensibilizzare, attraverso i Candidati alle cariche amministrative , la pubblica opinione ad una nuova cultura del rifiuti solido urbano. La cerimonia di premiazione alla Rocca, presentata dal giornalista Mimmo Ragozzino, è stata anche occasione per sottolineare i Comuni che nel Sannio primeggiano nella raccolta differenziata con risultati davvero lusinghieri in campo non solo locale, ma nazionale: a Circello e Foglianise, ad esempio, la raccolta differenziata ha raggiunto quota 70%.
Nella Sala Consiliare, oltre ad Aceto e al titolare Alessandro Lavorgna della omonima Ditta di San Lorenzello (BN), erano presenti anche gli altri enti ed Istituzioni che hanno sostenuto il progetto: Camera di Commercio, Parco Scientifico e Tecnologico, Legamabiente – Valle Telesina.
I Premiati hanno ricevuto, a seconda della “posizione in classifica” sono andate: medaglie in alluminio, plastica e carta (tutti materiali ovviamente riciclati).
FONTE: vivitelese.it
Il Sannio a rischio frane ed alluvioni: tutti bocciati i comuni sanniti da 'Ecosistema Rischio 2011'
Una sonora bocciatura per i comuni della Provincia di Benevento a rischio frane ed alluvioni dalla speciale indagine "Ecosistema Rischio 2011" realizzata da Legambiente in collaborazione con la Protezione Civile che ha monitorato le attività di prevenzione realizzate da oltre 1.500 fra le 6.633 amministrazioni comunali su scala nazionale classificate a rischio idrogeologico potenziale più elevato.
Tra i comuni monitorati dall'indagine, diciotto sono sanniti (nella graduatoria non è presente la città di Benevento): risultati a dir poco preoccupanti visto che i comuni del beneventano analizzati sono tutti relegati ai bassifondi della folta graudatoria (ben 1.121 tra i comuni intervistati per una percentuale vicina all’85%). Il Sannio è a rischio frane dunque, ma è l'intero territorio nazionale ad essere impreparato: “I drammatici eventi che hanno colpito di recente Liguria, Toscana, Sicilia, Calabria - ha spiegato la direttrice generale di Legambiente, Rossella Muroni - sono solo le ultime tragiche testimonianze di quanto il territorio italiano abbia bisogno non solo di un grande intervento di prevenzione su scala nazionale ma anche di come la popolazione debba essere informata e formata ad affrontare gli eventi calamitosi. Dobbiamo lavorare, insomma, anche per affermare una nuova cultura del rischio che renda le persone capaci di evitare comportamenti pericolosi di fronte a fenomeni naturali purtroppo non più eccezionali ma intensificati, ormai con evidenza, dagli effetti dei cambiamenti del clima. Sul fronte del territorio poi – aggiunge Muroni - è assolutamente prioritario e fondamentale dare maggiore efficacia ai vincoli che vietano di costruire nelle aree esposte al pericolo, programmare e realizzare gli abbattimenti dei fabbricati abusivi, delocalizzare dove possibile le strutture a rischio e investire in interventi di qualità per la sicurezza”.
LA CLASSIFICA: FAICCHIO TRA LE PEGGIORI IN ITALIA
Tra le amministrazioni comunali interpellate nel Sannio sono diciotto ad aver risposto in maniera completa al questionario di "Ecosistema Rischio 2011": nella graduatoria si tiene conto dell'urbanizzazione delle aree a rischio, della manutenzione, della messa in sicurezza, delle delocalizzazioni, dell'aggiornamento del piano di sicurezza (monitoraggio) e delle eventuali informazioni ed esercitazioni per la popolazione. Forte di questi rilevamenti, il dossier ha stilato un voto complessivo per ogni comune con tanto di "classe di merito".
I tre comuni al vertice (voto 8.5, classe di merito "buono") sono Peveragno (Cuneo), Endine Gaiano (Bergamo) e Senigallia (Ancona): la peggiore invece risulta essere Lagnasco (Cuneo) che presenta voto "zero" e insufficiente come classe di merito.
Per trovare i primi comuni sanniti piazzati, bisogna scendere parecchio in graduatoria nazionale: Pannarano, Montesarchio e Paolisi presentano un 4.5 (scarso) con forte rischio delocalizzazione e mancata informazione ed esercitazione per la popolazione. Risultano invece insufficienti i comuni di Castelfranco in Miscano, Cautano, Ceppaloni, Cerreto Sannita (3.5 di voto, insufficiente) dove non risulta esserci stato l'aggiornamento del piano di sicurezza. Insufficienti, ma con una stima di voto più bassa (3) i comuni di Baselice, Circello, Frasso Telesino, Puglianello, S.Angelo a Cupolo e Telese Terme dove manca anche un'adeguata manutenzione dell'area urbana. Percentuale ancora più bassa per Cusano Mutri, Forchia e Guardia Sanframondi (2.5). Maglia nera del Sannio (nonchè una delle ultime su scala nazionale) è Faicchio, insufficente con 1.5 "classe di merito": il comune telesino è manchevole praticamente di tutte le componenti richieste dal dossier di "Ecosistema Rischio 2011". Nei comuni con classe di merito inferiore a 1.5 è presente una pesante urbanizzazione delle zone esposte a pericolo di frane e alluvioni e non sono state avviate sufficienti attività mirate alla mitigazione del rischio, né dal punto di vista della manutenzione del territorio, né nell’organizzazione di un efficiente sistema comunale di protezione civile.
Nel dossier, Legambiente ha poi precisato che i dati relativi ad alcune amministrazioni che non compaiono nella graduatoria sono stati trattati separatamente , poichè "i competenti uffici comunali hanno dichiarato di non avere strutture in aree a rischio, il che giustifica parzialmente il non essersi attivati in azioni di prevenzione e pianificazione". Conteggiate invece le amministrazioni che, a seguito di interventi di consolidamento e delocalizzazione, pur non avendo fabbricati in zone a rischio, hanno svolto un buon lavoro di mitigazione del rischio idrogeologico.
OLTRE LA CLASSIFICA, SANNIO COLABRODO
Doveroso, da parte nostra, andare oltre lo speciale dossier stilato da Legambiente e Protezione Civile: il Sannio resta una zona "colabrodo" se si tengono in considerazione i continui smottamenti e le frane esistenti lungo il circuito provinciale (la frana di Arpaia, il cedimento del Monte Caruso a Foglianise, le frane lungo la viabilità provinciale del Fortore, la difficile situazione delle contrade beneventane di Pantano e S.Vitale spesso ostaggio del fiume). Doveroso però ricordare che proprio lo scorso mese di ottobre, la città di Benevento ha testato il suo Piano Comunale di Protezione Civile con successo.
FONTE: ilquaderno.it
De Cataldo e "Il Risorgimento dei terroni" per l'ultimo incontro dell'Agorà liceale
"Il Risorgimento dei terroni" di Giancarlo De Cataldo è il tema che ha chiuso la prima parte dell’iniziativa "Agorà scuola aperta", il progetto di condivisione della conoscenza ideato dagli Editori Laterza che si è tenuto presso il Liceo Classico "Oriani".
Giancarlo De Cataldo, noto ai più come autore di "Romanzo Criminale" - libro che ha ispirato l’omonima serie televisiva nonché il film diretto da Michele Placido - è un magistrato della Corte d’Assise di Roma e giornalista per il quotidiano La Repubblica.
De Cataldo ha catturato l'interesse del pubblico presente, composto da studenti e non, con un viaggio nel Risorgimento, «la stagione di un gruppo di giovani, uniti per scansare il vecchio ordine e fare il bene dell’Italia».
Introdotto dalla preside del Liceo “Oriani”, prof.ssa Angela Adduci, e dal prof. D’ercole, con la presenza dell’ideatrice degli incontri dott.ssa Maria Laterza, De Cataldo si è immerso in una "peripatetica" relazione, all’uso dei filosofi socratici, spiegando agli intervenuti di esser giunto a tali conoscenze attraverso un lavoro di ipertesto che l’ha portato ad imbattersi in testi non noti ai più, veri e propri diari personali dei giovani patrioti risorgimentali.
Una storia non a tutti nota, dunque, quella raccontata da De Cataldo, fatta di nomi conosciuti quali Mazzini, Pisacane, Cavour e Garibaldi, ma anche di patrioti ormai meno noti che con il loro impegno, con il loro spirito e anche con i loro difetti hanno collaborato alla creazione di quella che oggi chiamiamo Italia Unita, una storia raccontata senza pause, con lo spirito di chi ama studiare e sapere, con lo spirito di chi ha trovato in un periodo, spesso reso pesante nei libri scolastici, una sorta di "Romanzo Criminale" d’altri tempi.
«Oggi - ha detto De Cataldo - non è raro che artisti di vario genere parlino di tricolore o niutà d’Italia, e credo che sia una reazione naturale per la miseria e l’oscurità di questi tempi. Naturalmente parlando di Risorgimento non si può non studiare il meridione: paese di patrioti ma anche di Briganti.
Negli anni si è riusciti a cancellare le parti più belle e interessanti della nostra storia. Naturalmente c’erano le trame di Cavour ma c’era anche un’Italia che combatteva, c’erano i briganti e c’erano i gentiluomini. Il Risorgimento - ha concluso - è un periodo che non si può ridurre a una truffa e non possiamo dimenticare che se siamo italiani lo dobbiamo a questi uomini».
FONTE: coratolive.it
Mimmo Cavallo show storico musicale
Su un’idea dell’instancabile compatriota Giuseppe Marino, è stato approntato uno spettacolo musicale molto particolare al quale il nostro grande Mimmo Cavallo ha ritenuto dare la sua preziosa opera di autentico cantautore meridionale.
Un componimento artistico sui generis dove la tecnologia delle immagini si fonde magistralmente con il talento della voce ed il tocco magico dell’emozione musicale.
Insomma uno spettacolo da non perdere, una prima in assoluta nella bellissima Biccari.
FONTE: reteduesicilie.blogspot.com
sabato 24 dicembre 2011
venerdì 23 dicembre 2011
"Signori saltimbanchi lasciateci faticare" di LINO PATRUNO
Ovvio che quelli della Lega Nord cerchino di sfasciare l’Italia: a loro non interessa nulla dell’Italia. A loro interessa solo la casciara per vilipendere l’Italia, rispolverare il milione di fucili, fare le vittime per arraffare sempre di più da quel Paese la cui bandiera trattano come carta igienica. E del resto, visto che ha sempre funzionato, continuano. L’Italia è all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare per salvarsi, la gente perde lavoro e vita, ma loro continuano a fare baldoria per succhiare voti alla spalle degli altri. Povero Nord cosiddetto operoso, se è finito così.
Smemorati, fra l’altro. Lasciamo stare Tremonti, che accusa l’attuale governo di aver pensato soltanto al rigore infischiandosene dell’equità e soprattutto della crescita. Lui, che Berlusconi avrebbe voluto cacciare un giorno sì e l’altro pure perché non sapeva far altro che tagliare. Lo stesso Berlusconi che ha dovuto ricordare agli ex alleati che la contestatissima Imu, la tassa sulla casa, l’avevano inventata loro e sarebbe entrata in vigore nel 2014 col federalismo. Solo che la loro Imu se la sarebbero presa tutta i Comuni, questa di Monti va per metà all’odiato Stato.
Per la verità al cittadino interessa solo di doverla pagare. Ma sono i sindaci nordisti a minacciare l’obiezione fiscale, cioè non pagare, dicendo che senza quei soldi non ce la fanno. Essi che non hanno i disoccupati e gli sfrattati dietro la porta, chissà cosa dovrebbero dire quelli del Sud. Ma finché fosse stato il federalismo ad ammazzare metà Paese, andava bene. Ora invece torna “Roma ladrona”. Guardandosi però bene dall’uscire dai consigli di amministrazione delle aziende pubbliche del Paese che disprezzano. Dal lasciare la presidenza di Finmeccanica. Dal lasciare la presidenza di Alenia, fresca di scippo della sede legale da Napoli a Varese. Dall’accorpare i piccoli Comuni, salvati coi loro assurdi costi perché quasi tutti al Nord. Dal rinunciare ai 40 miliardi di incentivi alle imprese (che vanno dove ci sono più imprese, quindi anche questi soprattutto al Nord).
Barricate, barricate. Barricate dei tassisti. Barricate dei farmacisti. Barricate dei negozi. Barricate degli evasori fiscali. Barricate da parte di chiunque per la prima volta dovrebbe pensare all’interesse generale invece che a quello privato. Tanto a pagare, soprattutto le tasse, sono sempre gli altri. Meno male che c’è un Nord che, pur sofferente, continua nel silenzio a lavorare nonostante i leghisti. E che su quella produzione e su quel lavoro dovrebbe davvero essere meno massacrato di tasse. Ma i leghisti, che non richiesti dicono di difenderli, si guardano bene anche dallo smantellare quello scandalo italiano dell’oltre cinquanta per cento di economia statale che pesa sul resto del Paese, al Nord come al Sud. Perché ci vanno appunto a prendere i posti superstipendiati di potere.
Inutile dire che il Sud, come le stelle, rischia ancòra una volta di stare a guardare. Sud i cui produttori sono la parte buona d’Italia come quelli del Nord. Vittime entrambi di una politica che ha fatto anch’essa le barricate (e ti pare) al solo pensiero di dover condividere qualche rinuncia. E Sud che pur nelle consuete condizioni peggiori, ha contribuito al boom delle esportazioni più del Nord (con la Puglia in testa). E Sud per il quale, ma guarda, si scopre la necessità di infrastrutture, quel quaranta per cento in meno che gli fa pesare di più tutto ciò che fa, lo fa faticare sempre in salita per sentirsi dire poi di essere parassita eccetera eccetera. Solo che se osava chiederle, queste infrastrutture, era il solito Sud piagnone.
La conferma si ha dall’ennesimo Piano per il Sud di questo governo, nel quale la presenza del ministro Barca è garanzia di competenza e serietà. Bene che si sia puntato su ferrovie, scuola, banda larga per computer veloci, sgravi per le assunzioni. E bene che si siano trovati sùbito i fondi, al contrario di un recente passato (tremontiano, ancòra) in cui si garantiva di tutto tanto poi i soldi o non c’erano o erano dirottati per pagare le multe-latte dei vaccari del Nord. Si farà, per dire, solo un primo pezzetto dell’alta velocità fra Bari e Napoli, ma non starà anche il Sud a fare casciara come quei saltimbanchi alla Calderoli.
Il “pensare positivo” meridionale fa finta anche di ignorare una perenne beffa della storia. Per il Sud il “piano di coesione”, cioè una presunta spesa “straordinaria”, prevede 3146 milioni. Poi però per il Centro Nord si sbloccano fondi di spesa “ordinaria” per 3800 milioni. Cioè al Sud si dà meno che al Nord, dicendo però che lo si dà in aggiunta rispetto a non si sa cosa. Morale: il miracolo di voler ridurre il divario dando meno a chi ha il divario. Ma al Sud c’è gente seria, le pagliacciate del milione di fucili le fanno gli altri.
FONTE: gazzettadelmezzogiorno.it
Smemorati, fra l’altro. Lasciamo stare Tremonti, che accusa l’attuale governo di aver pensato soltanto al rigore infischiandosene dell’equità e soprattutto della crescita. Lui, che Berlusconi avrebbe voluto cacciare un giorno sì e l’altro pure perché non sapeva far altro che tagliare. Lo stesso Berlusconi che ha dovuto ricordare agli ex alleati che la contestatissima Imu, la tassa sulla casa, l’avevano inventata loro e sarebbe entrata in vigore nel 2014 col federalismo. Solo che la loro Imu se la sarebbero presa tutta i Comuni, questa di Monti va per metà all’odiato Stato.
Per la verità al cittadino interessa solo di doverla pagare. Ma sono i sindaci nordisti a minacciare l’obiezione fiscale, cioè non pagare, dicendo che senza quei soldi non ce la fanno. Essi che non hanno i disoccupati e gli sfrattati dietro la porta, chissà cosa dovrebbero dire quelli del Sud. Ma finché fosse stato il federalismo ad ammazzare metà Paese, andava bene. Ora invece torna “Roma ladrona”. Guardandosi però bene dall’uscire dai consigli di amministrazione delle aziende pubbliche del Paese che disprezzano. Dal lasciare la presidenza di Finmeccanica. Dal lasciare la presidenza di Alenia, fresca di scippo della sede legale da Napoli a Varese. Dall’accorpare i piccoli Comuni, salvati coi loro assurdi costi perché quasi tutti al Nord. Dal rinunciare ai 40 miliardi di incentivi alle imprese (che vanno dove ci sono più imprese, quindi anche questi soprattutto al Nord).
Barricate, barricate. Barricate dei tassisti. Barricate dei farmacisti. Barricate dei negozi. Barricate degli evasori fiscali. Barricate da parte di chiunque per la prima volta dovrebbe pensare all’interesse generale invece che a quello privato. Tanto a pagare, soprattutto le tasse, sono sempre gli altri. Meno male che c’è un Nord che, pur sofferente, continua nel silenzio a lavorare nonostante i leghisti. E che su quella produzione e su quel lavoro dovrebbe davvero essere meno massacrato di tasse. Ma i leghisti, che non richiesti dicono di difenderli, si guardano bene anche dallo smantellare quello scandalo italiano dell’oltre cinquanta per cento di economia statale che pesa sul resto del Paese, al Nord come al Sud. Perché ci vanno appunto a prendere i posti superstipendiati di potere.
Inutile dire che il Sud, come le stelle, rischia ancòra una volta di stare a guardare. Sud i cui produttori sono la parte buona d’Italia come quelli del Nord. Vittime entrambi di una politica che ha fatto anch’essa le barricate (e ti pare) al solo pensiero di dover condividere qualche rinuncia. E Sud che pur nelle consuete condizioni peggiori, ha contribuito al boom delle esportazioni più del Nord (con la Puglia in testa). E Sud per il quale, ma guarda, si scopre la necessità di infrastrutture, quel quaranta per cento in meno che gli fa pesare di più tutto ciò che fa, lo fa faticare sempre in salita per sentirsi dire poi di essere parassita eccetera eccetera. Solo che se osava chiederle, queste infrastrutture, era il solito Sud piagnone.
La conferma si ha dall’ennesimo Piano per il Sud di questo governo, nel quale la presenza del ministro Barca è garanzia di competenza e serietà. Bene che si sia puntato su ferrovie, scuola, banda larga per computer veloci, sgravi per le assunzioni. E bene che si siano trovati sùbito i fondi, al contrario di un recente passato (tremontiano, ancòra) in cui si garantiva di tutto tanto poi i soldi o non c’erano o erano dirottati per pagare le multe-latte dei vaccari del Nord. Si farà, per dire, solo un primo pezzetto dell’alta velocità fra Bari e Napoli, ma non starà anche il Sud a fare casciara come quei saltimbanchi alla Calderoli.
Il “pensare positivo” meridionale fa finta anche di ignorare una perenne beffa della storia. Per il Sud il “piano di coesione”, cioè una presunta spesa “straordinaria”, prevede 3146 milioni. Poi però per il Centro Nord si sbloccano fondi di spesa “ordinaria” per 3800 milioni. Cioè al Sud si dà meno che al Nord, dicendo però che lo si dà in aggiunta rispetto a non si sa cosa. Morale: il miracolo di voler ridurre il divario dando meno a chi ha il divario. Ma al Sud c’è gente seria, le pagliacciate del milione di fucili le fanno gli altri.
FONTE: gazzettadelmezzogiorno.it
La moglie di Mastella ha usato soldi dei contribuenti per i suoi regali di Natale
Quando era presidente nel 2005 spese quasi 18mila euro in doni per politici e impiegati. La Corte dei Conti: ora paghi di tasca sua
Quanto costano i regali di Natale? A Sandra Lonardo, moglie di Clemente Mastella, 17.942,40 euro. La cifra che la Corte dei Conti l'ha condannata a risarcire allo Stato. Nel 2005, quando era presidente del Consiglio regionale campano, la Lonardo decise di fare regali di Natale ai dipendenti del Consiglio e ai consiglieri: 600 piatti natalizi ai primi, 60 medaglie d'oro massiccio ai secondi. Nella foto Sandra Lonardo e Clemente Mastella
Un bel gesto, ma costoso. In tutto quasi 18 mila euro di regali: 3.902,40 per i piatti agli impiegati e 14.040 per le medaglie d'oro ai politici. E chi paga i regali della signora Mastella? Non la signora stessa, ma il Consiglio regionale, cioè il contribuente. "Spese di rappresentanza" dunque a carico dell'istituzione, spiegò la donatrice. Vere e proprie regalie personali, obiettò la Corte dei Conti: liberissima la Lonardo di farle, ma a carico suo, non del bilancio pubblico.
In primo grado, la Lonardo aveva invocato l'immunità garantita dalla Costituzione (ma solo "per opinioni espresse e voti dati nell'esercizio delle funzioni") e spiegato che i regali di Natale servivano a svolgere il prestigioso incarico istituzionale e a migliorare l'immagine della Regione. La sezione campana della Corte aveva negato l'immunità e concluso che la Lonardo aveva "consentito, in violazione di suoi precisi doveri d’ufficio, che la Regione Campania effettuasse esborsi per l’acquisto di doni in casi non assolutamente consentiti dalla normativa. L'acquisto dei gadget natalizi e di medaglie commemorative non soddisfaceva alcun interesse pubblico, ma un interesse privatistico assolutamente estraneo ai fini dell'Ente, mediante l'impiego di risorse finanziarie pubbliche".
"Condotta illecita", "incuria nello svolgimento dei suoi elevati compiti istituzionali" e "scarsa considerazione per la finanza dell’amministrazione regionale". Ma nonostante un giudizio così severo, in primo grado lady Mastella se l'era cavata perché la legge richiede per la condanna l'accertamento della "colpa grave" e secondo i giudici campani la sua iniziativa era in fondo "animata da uno spirito di fidelizzazione del personale e segnatamente di coinvolgimento dei legislatori regionali", dunque solo "lievemente colposa".
Ma i giudici di appello ora ribaltano la prima sentenza di assoluzione. E danno ragione alla Procura, sottolineando "evidente l’estraneità delle spese da quelle di rappresentanza" e confutando senza giri di parole la teoria della "colpa lieve". Infatti "l’espressione fidelizzazione del personale sembra voler significare l’intento di favorire l’attaccamento del personale al lavoro e alle istituzioni, ma ciò rappresenta una finalità per il cui perseguimento non necessitano spese ulteriori rispetto a quelle consentite dalla disciplina del rapporto di lavoro". Quindi la Lonardo è "gravemente colpevole" e "l’esistenza di tale elemento si desume dal carattere inescusabile della violazione di legge nella quale è incorsa, spendendo denaro pubblico per finalità estranee a quelle di legge e non corrispondenti all’interesse pubblico e alle regole della finanza regionale".
La sentenza d'appello è definitiva. Oltre ai 17.942,40 euro spesi illegittimamente, la Lonardo dovrà restituire anche 526 euro di spese processuali. Dall'epoca dei fasti campani e dei regali di Natale, molto è cambiato. La Lonardo non è più presidente, ma solo "semplice" consigliere regionale. Rieletta nonostante il naufragio dell'Udeur, il partito di famiglia, e non poche grane giudiziarie. La Lonardo è sotto processo penale per diverse vicende: tentata concussione a un direttore di Asl, raccomandazione per un'assunzione in un ente regionale, estorsione per contributi alla Onlus di famiglia, corruzione per la costruzione di un centro commerciale a Benevento.
Un bel gesto, ma costoso. In tutto quasi 18 mila euro di regali: 3.902,40 per i piatti agli impiegati e 14.040 per le medaglie d'oro ai politici. E chi paga i regali della signora Mastella? Non la signora stessa, ma il Consiglio regionale, cioè il contribuente. "Spese di rappresentanza" dunque a carico dell'istituzione, spiegò la donatrice. Vere e proprie regalie personali, obiettò la Corte dei Conti: liberissima la Lonardo di farle, ma a carico suo, non del bilancio pubblico.
In primo grado, la Lonardo aveva invocato l'immunità garantita dalla Costituzione (ma solo "per opinioni espresse e voti dati nell'esercizio delle funzioni") e spiegato che i regali di Natale servivano a svolgere il prestigioso incarico istituzionale e a migliorare l'immagine della Regione. La sezione campana della Corte aveva negato l'immunità e concluso che la Lonardo aveva "consentito, in violazione di suoi precisi doveri d’ufficio, che la Regione Campania effettuasse esborsi per l’acquisto di doni in casi non assolutamente consentiti dalla normativa. L'acquisto dei gadget natalizi e di medaglie commemorative non soddisfaceva alcun interesse pubblico, ma un interesse privatistico assolutamente estraneo ai fini dell'Ente, mediante l'impiego di risorse finanziarie pubbliche".
"Condotta illecita", "incuria nello svolgimento dei suoi elevati compiti istituzionali" e "scarsa considerazione per la finanza dell’amministrazione regionale". Ma nonostante un giudizio così severo, in primo grado lady Mastella se l'era cavata perché la legge richiede per la condanna l'accertamento della "colpa grave" e secondo i giudici campani la sua iniziativa era in fondo "animata da uno spirito di fidelizzazione del personale e segnatamente di coinvolgimento dei legislatori regionali", dunque solo "lievemente colposa".
Ma i giudici di appello ora ribaltano la prima sentenza di assoluzione. E danno ragione alla Procura, sottolineando "evidente l’estraneità delle spese da quelle di rappresentanza" e confutando senza giri di parole la teoria della "colpa lieve". Infatti "l’espressione fidelizzazione del personale sembra voler significare l’intento di favorire l’attaccamento del personale al lavoro e alle istituzioni, ma ciò rappresenta una finalità per il cui perseguimento non necessitano spese ulteriori rispetto a quelle consentite dalla disciplina del rapporto di lavoro". Quindi la Lonardo è "gravemente colpevole" e "l’esistenza di tale elemento si desume dal carattere inescusabile della violazione di legge nella quale è incorsa, spendendo denaro pubblico per finalità estranee a quelle di legge e non corrispondenti all’interesse pubblico e alle regole della finanza regionale".
La sentenza d'appello è definitiva. Oltre ai 17.942,40 euro spesi illegittimamente, la Lonardo dovrà restituire anche 526 euro di spese processuali. Dall'epoca dei fasti campani e dei regali di Natale, molto è cambiato. La Lonardo non è più presidente, ma solo "semplice" consigliere regionale. Rieletta nonostante il naufragio dell'Udeur, il partito di famiglia, e non poche grane giudiziarie. La Lonardo è sotto processo penale per diverse vicende: tentata concussione a un direttore di Asl, raccomandazione per un'assunzione in un ente regionale, estorsione per contributi alla Onlus di famiglia, corruzione per la costruzione di un centro commerciale a Benevento.
FONTE: ilcorriereblog.it
giovedì 22 dicembre 2011
mercoledì 21 dicembre 2011
Tutti i vizietti dei tedeschi
Non solo conti truccati. I teutonici hanno fama di onesti, ma uno su 4 ha la "spintarella". E in Svizzera hanno 130 miliardi
Si proclamano i più onesti d’Europa o forse del mondo. Con la loro supponenza teutonica fanno la predica a tutti gli altri cittadini del continente, a partire dagli italiani, agli spagnoli, ai greci, che vengono considerati come i «terroni dell'euro», colpevoli della crisi della moneta unica. E invece il mito tedesco dell’onestà, del rispetto delle regole, dei politici che non rubano mai si smonta molto facilmente.
Fra i peggiori difetti di cui ci accusano i tedeschi, c’è quello di essere un popolo di raccomandati. Se però in Italia esiste la «spintarella» nella patria di Beethoven e del Kaiser c’è la «Beziehung», soprannominata «vitamina B», un modo molto “glamour” per dire raccomandazione. È emerso infatti che anche tra i tedeschi la conquista del posto di lavoro, in un caso su quattro, è il frutto di relazioni personali. A dirlo è uno studio condotto su 15 mila imprese dall’Istituto per la ricerca sul lavoro e la professione di Norimberga. Le conoscenze, aggiunge l’istituto, contribuiscono anche in maniera significativa alla percentuale di successo delle richieste d’impiego: quasi due candidature di conoscenti o amici su tre si concludono con l’assegnazione del posto. Insomma i «maneggioni» abbondano anche fra Bonn e Berlino, sia nelle aziende che in ambito pubblico. E la politica tedesca è sempre più contraddistinta da pratiche poco ortodosse e che spesso rasentano l’illegalità.
Dall’ex ministro della Difesa che aveva scopiazzato la tesi di dottorato, Karl-Theodor zu Guttenberg, agli scandali sexy nel partito della cancelliera Angela Merkel, fino al caso del presidente federale Christian Wulff, accusato di aver ricevuto un prestito di mezzo milione di euro ad un tasso di solo il 4 per cento dalla moglie di un suo amico imprenditore, i coniugi Egon e Edith Geerkens. La stampa tedesca continua a tenerlo nel mirino per aver aggirato, come ha detto di recente lo Spiegel, la verità sui suoi rapporti (strettissimi) col facoltoso Egon. Del resto la moglie di Geerkens non aveva patrimoni rilevanti quando sposò l’attuale marito negli anni ’90, da allora non lavora, e i due sono in regime di separazione dei beni. La Merkel sta cercando in tutti i modi di difendere Wulff, suo compagno di partito all’interno della Cdu, ma così si sta attirando nuove accuse di scarsa trasparenza e in molti chiedono le dimissioni del presidente.
Come se non bastasse, a stravolgere l’immagine del perfetto tedesco ci sono anche le notizie sull’evasione fiscale e la fuga di capitali in Svizzera. Si stima che nel Paese delle banche siano depositati capitali tedeschi per un valore compreso tra i 100 e i 130 miliardi di euro. Di recente è stato raggiunto un accordo fra Berlino e Berna sui conti segreti ma l'evasione viene praticata in Germania a tutti i livelli. Alla fine di ottobre, si è “salvato” con un’ammenda di 100 mila euro l’ex amministratore delegato di Volkswagen e Bmw, Bernd Pischetsrieder: era accusato di aver reso dichiarazioni false al fisco in relazione all'evasione, accertata, di 234 mila euro, ma la procura non è riuscita a dimostrare la colpevolezza diretta del manager.
FONTE: liberoquotidiano.it
Terroni 2.0. Cambiare il Sud vivendo altrove
- Qualche tempo fa Piercamillo Falasca mi chiama e mi dice: Simona, voglio raccontare la tua storia. La tua e quella di Pasquale, Nicola, Domenico, Giovanni, Gavina, Rosamaria, Alessandra, Andrea, Francesca, Rodolfo, Valentina. Storie di terroni 2.0. Storie diverse. Storie di emigrazione intellettuale. Espatri per fame, non materiale ma di opportunità. Espatri da lande dove la ricchezza paesaggistica, culturale, umana si consuma in un’auto-combustione viziosa, irrazionale, apparentemente irreversibile. Togliete pure ‘apparentemente’.
Ci riuniamo in Terronia, una due volte, e ci raccontiamo. Lunghe chiacchierate, gaudenti tavolate, commozione e risate. Viviamo tutti altrove. Anche se per qualcuno questo ‘altrove’ non è un luogo fisico, ma il web. La Terronia ci appartiene. In Terronia però siamo tutti stranieri. La Terronia ce la portiamo dentro, ma la Terronia non ci vuole dentro. Ma cosa siamo, noi terroni dell’altrove? No, la domanda non è questa, ché in fondo non siamo altro che il nostro tempo, noi. No, la domanda vera è: cosa possiamo fare noi per Terronia?
Noi che a Terronia vorremmo restituire gli interessi maturati sul capitale umano sul quale abbiamo investito. Noi che a Terronia dobbiamo la terronaggine genetica che ci rende altro dai non-terroni, ma altro anche dai terroni-terroni. Noi che la curiosità non l’abbiamo repressa nell’indolenza ma nutrita con l’esplorazione, lo studio, l’impegno, il sacrificio. Noi che la sete di libertà non l’abbiamo sedata con la flebo dell’assistenzial-clientelismo ma nutrita con il frizzante della sfida, l’amaro delle sconfitte, il dolce delle vittorie. Noi che di Terronia vediamo le possibilità di essere viva e che quella vita, ovvero la libertà, vorremmo che Terronia scoprisse il gusto di prendersela da sé. Noi che a Terronia vorremmo aiutarla a smetterla di consumarsi. Vorremmo, ma come?
Ecco, se c’è una cosa che noi Terroni 2.0 condividiamo, aldilà del vissuto e del sentire personale, è il bisogno di contribuire a de-terronizzare Terronia.
Un bisogno che Piercamillo è riuscito a tematizzare, isolandolo dalla messe di riserve, disillusioni, persino ostilità che alla fine non c’è terrone 2.0 che non trovi insormontabile, ché cimentarsi con quel groviglio inestricabile di nodi che fanno di Terronia, appunto, Terronia è missione davvero improba.
In realtà, nel metterci insieme, nel farci raccontare, nel far venire fuori il bisogno in tutta la sua ‘prepotente urgenza’ Piercamillo ci ha già fatto fare un passo verso la soluzione. Noi Terroni 2.0 siamo qualcosa di più che un fenomeno. Siamo una lobby, culturalmente, socialmente anche economicamente affatto marginale. Abbiamo un interesse comune: la valorizzazione del patrimonio socio-ambientale nel quale sono seminati i nostri affetti. Ed abbiamo un capitale solido, di cultura civile e conoscenza, di attitudine sociale e vocazione economica, che possiamo ‘rimettere’ in terra natìa. Ci sollecita proprio a questo Piercamillo: ad impegnarci in un investimento di lungo periodo, un investimento culturale. Una progressiva, determinata, fiduciosa attività di modificazione genetica di quel campo isterilito dall’apatia, asfissiato dal malaffare, violentato da una subordinazione che si fa complicità.
Programma vasto ed ambizioso, certo. Ma a pensarci non più vasto né più ambizioso di quello nel quale siamo già tutti impegnati, come cittadini di un’Italia che si scopre la Terronia d’Europa, di un’Europa che si scopre la Terronia del mondo, di un mondo che si scopre intrappolato in un loop epocale la sortita dal quale ho come il sospetto che sarà frutto di opera comune o non sarà.
p.s.
Alla fine tutto torna: da Terronia a Terronia 2.0 (passando magari per una libreria, un bookstore online, o il sito della casa editrice Rubbettino)!
FONTE: libertiamo.it
martedì 20 dicembre 2011
“Briglie borboniche”, esempio di prevenzione da frane
Angelo Forgione - Paolo Villaggio, all’indomani dell’alluvione di Genova, aveva declassato la cultura ligure definendola inferiore a quella anglosassone cui si ispira. E pensando di affossarla del tutto, l’aveva accostata alla «cultura sudista borbonica che è il male di tutta l’Italia». Non intendo tornarci su perchè ho già sufficientemente dimostrato l’inesattezza del concetto, ma dal Parco Nazionale del Vesuvio arriva un ulteriore esempio borbonico di prevenzione e messa in sicurezza del territorio contro il dissesto idrogeologico che invece imperversa oggi in tutto il paese.
Si tratta delle “Briglie borboniche” che Legambiente ha replicato sul Vesuvio per tutelare il territorio con economici e intelligenti correttivi a monte che in epoca borbonica erano all’ordine del giorno.
Grate a livelli originariamente in pietra lavica e oggi in legno che contengono l’acqua piovana e consentono la ricrescita della vegetazione; insieme ad alvei, vasche e catene, erano una componente dell’ingegnoso sistema di bonifica borbonico che si sta cercando di replicare in piccolo sul vulcano partenopeo.
Le “Briglie borboniche” originali sono oggi sotterrate da strade, abitazioni e coltivazioni; e non a caso il pericolo di frane come quella di Sarno è dietro l’angolo in buona parte dell’area vesuviana.
Si tratta delle “Briglie borboniche” che Legambiente ha replicato sul Vesuvio per tutelare il territorio con economici e intelligenti correttivi a monte che in epoca borbonica erano all’ordine del giorno.
Grate a livelli originariamente in pietra lavica e oggi in legno che contengono l’acqua piovana e consentono la ricrescita della vegetazione; insieme ad alvei, vasche e catene, erano una componente dell’ingegnoso sistema di bonifica borbonico che si sta cercando di replicare in piccolo sul vulcano partenopeo.
Le “Briglie borboniche” originali sono oggi sotterrate da strade, abitazioni e coltivazioni; e non a caso il pericolo di frane come quella di Sarno è dietro l’angolo in buona parte dell’area vesuviana.
LO STATO chiede di aumentare l'età delle pensioni perché in EUROPA tutti lo fanno. NOI CHIEDIAMO IN CAMBIO:
LO STATO chiede di aumentare l'età delle pensioni perché in EUROPA tutti lo fanno. NOI CHIEDIAMO IN CAMBIO: di arrestare tutti i politici corrotti , di allontanare dai pubblici uffici tutti quelli condannati in via definitiva perché in EUROPA tutti lo fanno, o si dimettono da soli per evitare imbarazzanti figure. NOI CHIEDIAMO di dimezzare il numero di parlamentari perche’ in EUROPA nessun paese ha cosi’ tanti politici !! NOI CHIEDIAMO di diminuire in modo drastico gli stipendi e i privilegi a parlamentari e senatori, perché in EUROPA nessuno guadagna come loro. NOI CHIEDIAMO di poter esercitare il “mestiere” di politico al massimo per 2 legislature come in EUROPA tutti fanno !! NOI CHIEDIAMO di mettere un tetto massimo all’importo delle pensioni erogate dallo stato (anche retroattive), max. 5.000, 00 euro al mese di chiunque, politici e non, poiche’ in EUROPA nessuno percepisce 15/20 oppure 37.000,00 euro al mese di pensione come avviene in ITALIA NOI CHIEDIAMO di far pagare i medicinali visite specialistiche e cure mediche ai familiari dei politici poiche’ in EUROPA nessun familiare dei politici ne usufruisce come avviene invece in ITALIA dove con la scusa dell’immagine vengono addirittura messi a carico dello stato anche gli interventi di chirurgia estetica, cure balneotermali ed elioterapioche dei familiari dei nostri politici !! CARI MINISTRI non ci paragonate alla GERMANIA dove non si pagano le autostrade, i libri di testo per le scuole sono a carico dello stato sino al 18° anno d’eta’, il 90 % degli gli asili e nido sono aziendali e gratuiti e non ti chiedono 400/450 euro come gliasili statali italiani !! IN FRANCIA le donne possono evitare di andare a lavorare part time per racimolare qualche soldo indispensabile in famiglia e percepiscono dallo stato un assegno di 500,00 euro al mese come casalinghe piu’ altri bonus in base al numero di figli . IN FRANCIA non pagano le accise sui carburanti delle Campagne di Napoleone, noi le paghiamo ancora per la guerra d’Abissinia!! NOI CHIEDIAMO A VOI POLITICI che la smettiate di offendere la nostra intelligenza, il popolo italiano chiude 1 occhio, a volte 2, un orecchio e pure l’altro ma la corda che state tirando da troppo tempo si sta spezzando.
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